Led Zeppelin – Led Zeppelin

Led Zeppelin, il dirigibile che cinquant'anni fa ha rivoluzionato il rock -  la Repubblica

(Massimo Tinti – 22 agosto 2020)

John Paul Jones stava rassegnandosi alla sorte, ad una vita da session man spesso non citato nelle cose stupefacenti che faceva, sempre sulla cresta ma solo per motivi di servizio. Giorno e notte curvo sul basso o le tastiere per il misero appannaggio di 3 sterline l’ora, prigioniero dei comandamenti altrui, mai un gesto di insubordinazione ma tanti paesaggi immaginari nella testa. Dalle fessure di un tramezzo Jimmy Page lo guardava con ammirazione in quel suo esilio, in quel paese di frontiera senza un passaporto per fare un passo oltre; soprattutto stimava come nessuno quel suo correre sul manico del basso, quella esuberanza geniale capace di proteggere tutti gli altri strumenti, unico nell’andare avanti anche nelle circostanze più scoraggianti. Page, come lui, si arrangiava tra la vita in studio e qualche sortita più vistosa come quella nei Yardbirds; ma il pensiero del chitarrista si attardava, parimenti al fervore della sua brillante anima, alla creazione di una band assieme al suo compagno, una di quelle che in quattro e quattr’otto ti fanno vedere sia la musica che la divinità (i due avevano più volte collaborato, ma durante le registrazioni di “Beck’s Bolero” di Jeff Beck, le potenzialità si erano toccate, avevano sfregato insieme alzando la polvere del Valhalla). Il progetto Yardbirds intanto si arena a luglio del 1968, lo fa con una tournée in programma in Scandinavia; Page e Chris Dreja sono gli unici che desiderano andare avanti e cercano nuovi adepti. Tempo un soffio di vento e Dreja lascia ogni cosa per la fotografia; Page nemmeno per un attimo pensa all’umiliazione di essere stato abbandonato e comincia coraggiosamente a spiegare il suo progetto a John Paul Jones, il ghiaccio e rotto! Ora tutti sono diretti verso Terry Reid, un cantante straordinario ma ancora troppo giovane nel cuore per un’impresa così difficile; il buon Reid istruisce Page indicando Robert Plant come l’unico al mondo pronto per un viaggio tanto pericoloso, il solo con un tono di voce capace di prevalere in qualsiasi combattimento. John Bonzo Bonham è un batterista costantemente licenziato perché suona troppo forte, sopra di tutti e finché non gli sanguinano le mani; non conosce la fatica e beve lasciando tracce del suo passaggio ovunque: per tutti è l’uomo giusto al posto giusto, soprattutto per Plant suo Amico, quello che meglio di chiunque altro conosce le stranezze di cui è capace, sia nella gioia che nella disperazione. I quattro si trovano a provare per pochi giorni e poi tutti con il fiato sospeso dentro il Teen Club di Gladsaxe (Copenaghen), davanti ad un pubblico insidioso e diffidente, pieno di rabbia per non poter vedere i Gallinacci in azione, pronto a non risparmiare nessuno di quei quattro pidocchiosi New Yardbirds (nome scelto per ottemperare al contatto relativo a questa mini-tournee). “Train Kept A Rollin“, “Dazed And Confused“, “White Summer” e “For Your Love“, accettano la sfida e lanciano l’offensiva, tolgono il fiato ai presenti, sfregiano il blues con una spedizione assassina contro tutto e tutti: Page lancia segnali dettati dall’istinto e gli altri trasformano tutto in un assalto alla baionetta, fallendo qualche nota ma centrando tutte le emozioni di questo mondo. Al termine del concerto gli intervenuti sembrano dei manzi arrostiti dal calore dell’inferno, completamente imbalocchiti da quei padroni del fuoco, da quei suoni in perpetuo movimento da dove balza fuori, però, un’estasi sonora dalla grande carica spirituale. Tra tutto questo e la pubblicazione di “Led Zeppelin“, vanno messe dentro almeno due cose fondamentali, due accentuazioni sensibili della futura leggenda: una è che Keith Moon, dopo essersi adeguatamente “dissestato”, vede nella stanza un dirigibile di piombo in volo (lo Zeppelin appunto e da qui il nome dopo diverse dispute), e l’altra che Peter Grant diventa il quinto membro della band, uno sceriffo senza limiti formali di sorta in veste di tuttofare (poi produttore). A gennaio 1969, con la targa Atlantic e la produzione di Jimmy Page, esce “Led Zeppelin“, un disco che nessun messaggero o Sibilla poteva indovinare tanto rivoluzionario, così vetroso e metallico da inventarsi un nuovo genere, così potente da cambiare abilmente il corso e il carattere della storia musicale. Il contenuto grava sull’ ascoltare come il Dirigibile in copertina, completamente impazzito sotto la sferza del fuoco, zigzagante come una falena attorno alla luce, coperto da un boato che pare una crudelissima fustigazione per tutto il genere umano. La completa rimanipolazione di materiali preesistenti trasformano “You Shock Me“, “Dazed And Confused“, “Babe I’m Gonna Leave You” e “I Can’t Quit You Baby“, in una foresta piena di  riff immobili e solenni, attorno ai quali si muovono le devastazioni telepatiche dei quattro musicisti, saturi di talento essenziale in perpetua creazione: la leadership di Page – che conduce il suono contro il muro dello studio per farlo sfasciare, poi lo cattura con una fitta rete di microfoni dislocati sapientemente – lascia intuire un linguaggio umano non comune, zeppo di fendenti e fraseggi pronti ad esplodere da un momento all’altro in un fragore improvvisativo libero e purissimo, praticamente unico nel gettarsi in sentieri scurissimi dove intossicarsi di dolori, di gemiti, di peccati. L’ampia potenzialità ritmica di Bonham e Jones aggiunge note di secca precisione, brava a mettere in risalto le opposte caratteristiche dei dialoghi tra chitarra e voce, telepatica nel consentire tanto a Page che a Plant – formidabile fino alla temerarietà – la completa manipolazione dei cardini dei brani. Le originali “Good Times Bad Times“, “Your Times Is Gonna Come“, “Black Mountain Side“,  “Communication Breackdown“, “How Many More Times“, sono meteoriti sonici che si incendiano a contatto con l’aria, piene di strappi e sincopi, di accelerazioni temprate nel crogiuolo di un groove alieno, di idee che emettono fluidi elettrici provenienti dai sensi: cinque brani che fanno capire che gli Zeppelin non sono studenti di una qualche università del Rock’n’roll, ma guerrieri di un altro tempo capaci di mescolare assieme la musica con le carezze, le minacce con le lacrime. Il disco sfonda dappertutto e i Led Zeppelin suonano tutte le sere per un anno intero, per tre ore a concerto, tra l’Europa e l’America, con una forza tale da fare impressione sul cuore e sfondando ogni resistenza, qualsivoglia confronto con ogni altra band operante nel globo. Alla fine di ogni serata i quattro si guardano e si sentono una cosa sola, un’entità marziale figlia dell’ala bellicosa degli Dei, il loro Martello sulla terra. 

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