Leaf Hound – Growers of Mushroom

(Andrea Romeo)

Se vi interessa risalire alle radici dello stoner rock, ma quelle davvero profonde e lontane anche temporalmente, dovete ritornare agli inizi degli anni ’70, e precisamente in quella Londra che si stava lentamente allontanando dalla propria nomea di Swinging London per abbracciare nuove tendenze, ma soprattutto nuovi suoni.

Ed allora, all’interno di quel calderone musicale vi capiterà di incontrare due musicisti assai noti, Paul Kossof e Simon Kirke, entrambi in uscita dai Free che, nel 1969, diedero vita ai Black Cat Bones realizzando l’album Barbed Wire Sandwich.

Quasi subito inserirono un nuovo cantante, Peter French, rimpiazzarono il chitarrista Rod Price, in viaggio verso i Foghat, con Mick Halls, e cambiarono poco dopo il loro nome in Leaf Hound; entrarono inoltre Derek Brooks e Stuart Brooks alla chitarra ed al basso, ed il batterista Keith George-Young per quella che si può considerare la prima formazione stabile della band, ovvero la formazione “classica” che, verso la fine del 1970, entrò nei Mayfair’s Spot Studios di Londra per uscirne, poco più di undici ore dopo, con il primo album già pronto.

Neppure il tempo di presentarlo al pubblico ed i Leaf Hound si erano praticamente già sciolti: French avrebbe fatto parte degli Atomic Rooster e successivamente dei Cactus, mentre gli altri componenti scomparvero dai radar musicali per riapparire, sporadicamente, soltanto agli inizi degli anni 2000.

Anche quel loro primo album, in realtà, scomparve ben presto dagli scaffali dei negozi di dischi, e venne ristampato soltanto diversi anni dopo, prima dall’etichetta Walhalla Records in Germania, poi in Inghilterra nel 1994 dalla See for Miles Records, dalla Akarma Records nel 2003 ed infine dalla Repertoire Records nel 2005: se non una riesumazione, qualcosa di abbastanza simile.

Nella ristampa britannica, oltre alle nove tracce originarie, una notevole bonus track, It’s Gonna Get Better, brano decisamente interessante perché a mezza via tra suggestioni canterburiane e certe atmosfere care ai Free, di fatto i padrini spirituali della band, ed in cui la voce di French si avvicina a tratti a quella di Paul Rodgers.

La medesima grinta si ritrova anche nel brano iniziale dell’album, Freelance Fiend, blues-rock quadrato, chitarre robuste, con interessanti code soliste, ritmica lineare, insomma un pezzo assolutamente classico, ottimo per esordire senza correre troppi rischi; cambia tutto con la successiva Sad Road to the Sea, ballad quasi westcoastiana, in odore di post-summer of love, in cui voce e chitarra guardano in alto, mentre la sezione ritmica “muove” il brano con molti ed azzeccati fills.

Drowned My Life In Fear è, di fatto, la Mr. Big dei Leaf Hound, perché è proprio il basso di Stuart Brooks a guidare le danze, con un riff insistito, profondo, ipnotico, che accompagna l’ascoltatore e lo consegna ad un assolo, quello di Halls, che gronda Led Zeppelin da ogni nota.

Il vero e proprio tour de force dell’album è però Work My Body, otto minuti e poco più in cui l’intera band sciorina una profondità di suono davvero strepitosa, grazie ad un crescendo imperioso in cui chitarre e basso offrono il meglio di sé, non soltanto in ambito strettamente ritmico e solista, ma soprattutto grazie alla creazione di numerosi intrecci melodici decisamente affascinanti.

Cream, Trapeze, Led Zeppelin, Free, i primi Deep Purple… frullate tutto ed ecco Stray, brano assolutamente iconico e che rappresenta la quintessenza dell’hard rock settantiano, con i suoi stacchi scanditi dalla batteria, un riff ritmico riconoscibilissimo, brevi e ficcanti assoli ed una voce, quella di French, davvero sugli scudi; a stretto giro una With a Minute To Go che definisce il concetto di ballad elettrica in puro stile ledzeppeliniano: chitarre che appoggiano accordi su una base ritmica in cui la linea di basso diventa quella fondamentale, ed ennesima notevole prestazione vocale di French, malinconico, nostalgico, a tratti sconsolato, laddove Halls dipinge arpeggi e brevi passaggi solisti assecondandone il mood.

La title track, Growers of Mushroom fa capolino verso la fine dell’album, con un’intro che rimanda direttamente alle sonorità degli Who, specie per quanto riguarda la parte ritmica; immersi in una sorta di acquario musicale che non  era mai stato così ricco di suggestioni, i Leaf Hound hanno messo mano ad un album assolutamente diretto, privo di qualsiasi mediazione nei confronti delle influenze esterne, in un certo senso addirittura ingenuo, e quindi è stato del tutto inevitabile che i riferimenti siano stati non soltanto evidenti, ma anche molto precisi.

Stagnant Pool ad esempio, è un altro esempio di blues rock energico, robusto, in cui le sonorità tipiche del periodo sono presenti e ben definite, ed in cui voce e chitarra si prendono il centro della scena, malgrado la sezione ritmica sia tutt’altro che basica e sviluppi linee molto articolate; si chiude con Sawdust Ceasar, brano decisamente più sixties oriented, e che spinge maggiormente verso quella psichedelia già accennata nella title track, grazie a chitarre acide e ad una ritmica decisamente originale.

Growers of Mushroom è decisamente figlio del proprio tempo e, se avesse avuto un seguito, probabilmente avrebbe anche ricevuto una considerazione differente; essendo un unicum risente molto della rapidità della produzione e del suo assemblaggio, mostrando palesemente il fatto di essere stato realizzato di getto.

French ha riformato la band nel 2004, insieme al chitarrista Luke Rayner, realizzando nel 2007 il secondo album a nome Leaf Hound, Unleashed, e Live in Japan nel 2012; è sempre in tour con il gruppo, circondato da giovani musicisti che lo hanno voluto accompagnare in una operazione che, al netto degli inevitabili aspetti nostalgici, ha ricevuto un plauso pressochè unanime: “As good a rock album as you could hope to hear… An unpretentious hard rock record, relying on strong songs and powerful performances… Preserving the classic rock sound…”, insomma, un lavoro che è stato ritenuto, anche dalla critica, più che benemerito.

(Decca Records/See For Miles Records, 1994)

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