Kinga Glyk – Feelings

(Andrea Romeo)

Yotube è diventato, specie negli ultimi anni, un calderone ribollente in cui musicisti, noti e meno noti, hanno iniziato a proporre la propria musica bypassando di fatto lo scouting, ormai inesistente, con cui le case discografiche andavano alla ricerca di nuovi talenti, per lo meno sino alla nascita dei “talent show” televisivi.

La bassista polacca Kinga Glik è nata proprio in questo contesto intorno al 2016, quando si è imposta all’attenzione grazie ad una rilettura, ispirata ad un arrangiamento di Jeff Berlin, del brano di Eric Clapton Tears in heaven: il risultato furono qualcosa come oltre 660.000 clic, saliti oggi a quasi due milioni e mezzo. Da quel momento, però, è stato inderogabile per lei dimostrare nei fatti di non essere soltanto un personaggio mediatico, ma una musicista a tutto tondo e la ragazza, poco più che ventenne, ha stupito tutti bruciando le tappe a suon di groove.
Imbracciando il suo Fender Jazz o, in alternativa, un Greco Eb-2, la musicista polacca che aveva esordito appena diciottenne con il primo album a suo nome, Rejestracja, bissato dal successivo Happy Birthday, con buoni riscontri ma solamente in ambito nazionale, si è presentata sulla ribalta internazionale nel 2017 con il terzo lavoro, Dream, licenziato per la Warner, una major che, a quel punto, ha scommesso decisamente su di lei.

Il suo nome ha iniziato a circolare in tutta Europa e molti club l’hanno inserita nelle loro programmazioni: il successo dell’album, a cavallo tra jazz, funk e ritmi ricchi di variazioni, le è valso il titolo di migliore bassista polacca della sua generazione ma soprattutto ha fatto di lei una vera star della musica jazz e blues; ovvio, a quel punto, che l’album successivo sarebbe stato atteso al varco con grandi aspettative.

La ventunenne Glik non ha fatto, proverbialmente, un plissè: accompagnata da Pawel Tomaszewski alle tastiere, Calvin Rodgers alla batteria, e da un nutrito gruppo di ospiti, ha messo in cantiere Feelings, ma ha voluto stupire tutti facendone precedere l’uscita da un video, introdotto dal mitico Pac-Man, in cui ha presentato il singolo funk-dance, Joy Joy, con ospite il tastierista Brett Williams, brano allegro, spigliato, ricco di groove ma anche di break e dinamiche marcate, un apripista che ha ingenerato curiosità nel capire dove, la giovane bassista, volesse andare a parare.

Elementi che collegano quest’album a quello precedente sono, come già sottolineato, il groove, il gusto per i cambi di ritmo accompagnati da cambi nella struttura musicale del brano stesso e da una alternanza di strumenti con il basso a fungere da perno.

Rispetto al lavoro precedente però, Feelings è una realizzazione più orchestrale, più ampia anche come spettro sonoro, un album in cui le tastiere, ad esempio, hanno un ruolo certamente più rilevante: se Let’s play some Funky Groove è un pezzo in pieno stile seventies, il successivo Lennie’s Pennies è più articolato, intenso, un susseguirsi di break, riprese, cambi di ritmo all’interno dei quali basso e tastiere spiccano, alternativamente, nel condurre la linea melodica, in un tour de force che mette a dura prova anche il batterista.

Detto di Joy Joy, che sprizza energia ad ogni nota, non mancano i momenti più introspettivi, come ad esempio What is Life, lento sinuoso ed avvolgente dal sapore vagamente sixties che, anch’esso, verso la metà, cambia decisamente registro divenendo una sorta di “space ballad” e riprendendo nel finale le atmosfere iniziali.

A Kinga Glik piace davvero cambiare, soprattutto in corsa, ed i suoi brani hanno tutti questa caratteristica, ovvero quella di “abituare” l’ascoltatore ad un certo svolgimento, salvo poi “strattonarlo” per portarlo altrove: Mercy, ad esempio, parte con un ritmo scandito e secco, un accompagnamento minimale, poi cresce piano piano grazie anche al basso leggermente distorto sino a diventare una sorta di shuffle elettro-dance in cui le tastiere spaziano anche nei timbri; ecco allora stacchi improvvisi, ripartenze, sino al finale decisamente danzereccio che rimanda alle scene di ballo dei film anni ’60.

Overdrive invece, pur mantenendo un approccio cinematografico, va da tutt’altra parte, diciamo dalle parti della sci-fi, ma anche qui non mancano le variazioni ritmiche grazie anche alle percussioni di Slawomir Berny, e di struttura, per la Glik veri e propri trademark; Ballada, per converso, dice tutto nel titolo e qui, il basso, è davvero sottotraccia, accompagna in punta di piedi e lo stesso fa nella successiva Low Blow, in cui, solo verso la metà, si ritaglia qualche spazio solista in alternanza con le tastiere.

Il lentone canonico, fascinoso, ed anche un po’ ruffianello volendo, ma ad alto tasso seduttivo, arriva con Classic, in cui alle tastiere Hammond-oriented siede Bobby Sparks II ma la calma termina quasi subito, perché 5 Cookies schizza fuori dai solchi sin dalla prima nota: qui lo slap è sovrano, assoluto, del brano, anche quando le tastiere di Anomalie giocano a rincorrere la bassista.

Si chiude in dolcezza, grazie alla chitarra di Mateus Asato ed alla particolarissima voce di Ruth Waldron che, in Enu Maseti, richiamano echi di paesaggi lontani, perduti al di là dell’orizzonte, quasi la band si avventurasse in una sorta di traversata di un immaginario deserto: la Glik lascia loro il proscenio, ritirandosi prima delle ultime note, e dimostrandosi davvero artista completa, di ampie, amplissime vedute, e generosa nel non limitare affatto i musicisti che la accompagnano.

Non solo quindi una prova artistica assolutamente convincente ma, soprattutto, una dimostrazione di maturità che fa di questa eclettica bassista una vera protagonista della scena musicale europea: saltate, purtroppo, le date di presentazione dell’album, incluse quelle italiane, la speranza è quella di poterla vedere presto dal vivo per godere dell’empatia musicale ed umana che questa ragazza trasmette.

(Warner Music, 2019)

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