Kadavar – For the Dead Travel Fast

(Andrea Romeo – 6 maggio 2020)

Christoph “Lupus” Lindemann, Christoph “Tiger” Bartelt e Simon “Dragon” Bouteloup sono, almeno esteticamente, l’antitesi di ciò che ci si potrebbe aspettare da un trio musicale proveniente da una città, Berlino, che, nell’immaginario collettivo, oltre ad essere un crogiuolo di idee, è anche all’avanguardia del punto di vista dei concetti di estetica ed immagine.

Lungi dall’essere epigoni della “cultura” hipster, i tre musicisti tedeschi sono invece, anche dal punto di vista visuale, una rivisitazione, in chiave hard rock/stoner, degli ZZ Top.

Massicci, abbondantemente barbuti, dall’aspetto collocabile a metà strada tra i boscaioli della Foresta Nera ed i pionieri nordamericani i Kadavar, da ormai un decennio, si sono avventurati lungo un percorso musicale, a suo modo, retrò, che mescola come detto hard rock, stoner rock e psichedelia, aspetti che vengono tenuti insieme da una energia davvero prorompente: chi li ha visti dal vivo non può che confermare questa loro attitudine a “dare tutto”, senza minimamente risparmiarsi.

For the Dead Travel Fast, il loro quinto album in studio, rappresenta probabilmente una svolta nell’ambito della loro carriera: nelle nove tracce che lo compongono è chiaramente percepibile, sin dall’iniziale The End, una maggiore propensione verso un hard rock di stampo sabbathiano, propensione avvalorata da una serie di riffs profondi e cupi, da pause e da momenti di “sospensione” ricchi di pathos e di mistero, tutte caratteristiche che si rivelano tutto sommato prevalenti rispetto alla componente più genuinamente stoner, mai peraltro del tutto messa da parte, grazie a brani come Evil Forces o Poison.

L’interessante definizione di “occult rock”, che è stata attribuita alla loro attitudine musicale, riesce probabilmente a cogliere in modo compiuto i differenti aspetti della loro proposta artistica: non sono infatti direttamente associabili al black metal, o al doom nelle sue varie espressioni, ma ne colgono però alcuni specifici e significativi aspetti sonori, specie in brani come Children of the Night o Demons in my Mind, così come presentano chiari riferimenti all’hard o all’acid rock più classici anche laddove ne ammorbidiscono le caratteristiche, come ad esempio in Dancing with the Dead.

I riferimenti a band storiche come Blue Cheer, Atomic Rooster, Pentagram, Blue Öyster Cult o Hawkwind sono evidentemente tutt’altro che casuali.

Un album di svolta, come detto, che probabilmente rappresenta contemporaneamente la quadratura del cerchio, per quanto riguarda la loro carriera per come si è sviluppata sinora, ma anche una sorta di apertura nei confronti di ciò che avverrà, d’ora in poi; peraltro, la loro formazione in stile power trio, e con un uso assai limitato di tastiere, li porrà in ogni caso di fronte a scelte importanti, soprattutto per quanto riguarda l’impostazione dei brani e la loro resa sonora.

Quello che è certo è il fatto che, all’interno della numerosa nidiata di gruppi stoner, nata e cresciuta nell’ultima ventina di anni, i Kadavar, insieme a Fu Manchu, Nebula, Siena Root, Graveyard, Pristine, Orange Goblin, Spiritual Beggars, Vintage Caravan, Sacri Monti ed altri gruppi coevi, pur senza raggiungere, per ora, la fama, diciamo così, mainstream, di band come Kyuss, Queens of the Stone Age o Wolfmother, hanno consolidato in maniera consistente il loro zoccolo duro di appassionati, e godono di un ampio credito che va ben oltre l’essere delle mere band di nicchia.

Questi gruppi costituiscono, di fatto, una sorta di “movimento” artistico dall’attitudine fortemente psichedelica, ed in continua evoluzione, all’interno del quale le realtà nordamericane e quelle nord europee vivono in una sorta di felice e creativa simbiosi.

(Nuclear Blast, 2019)

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