Joni Mitchell – Shadows and Light

(Andrea Romeo)

Come accade per molti esperimenti, anche musicali, spesso è il caso a metterci lo zampino e questa storia nasce davvero per caso: Roberta Joan Anderson, in arte Joni Mitchell, nata a Fort Macleod, Alberta (Canada) ma cresciuta artisticamente negli anni ’60 tra i café canadesi ed i locali statunitensi nei quali si stava imponendo una nuova generazione di artisti folk, iniziò ad ottenere un buon successo commerciale verso la fine del decennio quando, insieme a Carole King e Laura Nyro, si impose come archetipo del cantautorato femminile.

Il caso, appunto, si manifestò nel 1976 quando l’artista incontrò il ventitreenne Jaco Pastorius, colui che senza alcun curriculum si era presentato a Joe Zawinul, tastierista e leader dei Weather Report, affermando: “Sono il più grande bassista del mondo”, e ricevendo come risposta, secca, un laconico: “Levati dalle palle, ragazzo.

Tra la musicista canadese ed il bassista di Norristown scoccò la scintilla che spinse la Mitchell ad avvicinarsi al jazz: il risultato più immediato fu che, nell’album appena terminato e non ancora uscito, Hejira, Joni chiese a Jaco di sovraincidere le tracce di basso su quattro brani, perché il suono di quel Fender Jazz Bass fretless del 1962 era esattamente ciò che andava cercando da tempo.

La transizione definitiva si completò tre anni dopo, quando la lineup coinvolta in un altro lavoro epocale, Mingus, vide presenti oltre alla Mitchell ed a Pastorius Wayne Shorter, sax soprano, Peter Erskine, batteria e Don Alias, congas, oltre ad Herbie Hancock, piano elettrico ed Emil Richards, percussioni.

Shadows and Light venne registrato il 9 Settembre 1979 al County Bowl di Santa Barbara in California, durante la tournée di Mingus: con Hancock e Shorter indisponibili, furono convocati il chitarrista Pat Metheny, con la sua leggendaria Gibson ES-175 ed il tastierista Lyle Mays, Fender Rhodes ma soprattutto synth polifonici, che avevano da poco iniziato l’avventura del Pat Metheny Group, e con loro il sassofonista Michael Brecker, già all’epoca session man richiestissimo; Alias, oltre che alle percussioni, fu impegnato anche nelle parti di batteria.

Si venne a creare, ed il parallelo non pare né fuori luogo né esagerato, la stessa situazione che nel medesimo periodo dall’altra parte dell’oceano, ma con uno stile differente, si stava verificando tra Fabrizio De Andrè e la Premiata Forneria Marconi: in entrambi i casi un cantautore affidava arrangiamenti ed esecuzione dal vivo ad una band progressive-rock in Italia, e ad un supergruppo jazz/fusion negli States, ed in entrambi i casi gli esiti delle contaminazioni sarebbero stati eccellenti.

La tracklist di Shadows and Light pesca a piene mani dai due album citati: Coyote, con Pastorius ed Alias sugli scudi, Amelia, Furry Sings the Blues, Hejira e Black Crow (non presente nell’edizione in cd) escono dai solchi di Hejira, God Must Be a Boogie Man, The Dry Cleaner from Des Moines e Goodbye Pork Pie Hat da quelli di Mingus, mentre Dreamland era contenuto in Don Juan’s Reckless Daughter.

La traccia di apertura dell’album, Introduction, consiste nel montaggio audio tra i primi versi della title-track, uno spezzone di dialogo proveniente dal film Gioventù Bruciata ed un frammento del 45 giri I’m Not a Juvenile Delinquent di Frankie Lymon and The Teenagers, interpreti originari anche del brano Why Do Fools Fall in Love di cui viene eseguita successivamente una cover insieme al gruppo vocale The Persuasions, mentre In France They Kiss on Main Street, abbellita da uno splendido lavoro di Metheny, proviene da The Hissing of Summer Lawns insieme ad Edith and the Kingpin ed alla title track, Shadows and Light.

Restano da segnalare uno strepitoso Pat’s Solo, in cui il chitarrista del Missouri offre un piccolo saggio di ciò che realizzerà negli anni a venire, un altrettanto entusiasmante Don’s Solo, purtroppo rimasto escluso dalla versione in cd così come Free Man in Paris, proveniente da Court and Spark, oltre alla presentazione della band, di cui la Mitchell si incarica subito dopo Dreamland.

Se Miles of Aisles, realizzato nel 1974 insieme a Tom Scott, fiati, Max Bennett, basso, John Guerin, batteria, percussioni, Robben Ford, chitarra elettrica e Larry Nash, pianoforte, può essere considerato il suo gioiello acustico, Shadows and Light è certamente la sua gemma elettrica: i brani vengono arricchiti da esecuzioni originali, intense, in cui gli aspetti virtuosistici, sempre misurati, si tramutano in una serie di rifiniture straordinarie, che ne enfatizzano i dettagli e ne ridisegnano in parte la struttura, valorizzandone la resa finale in maniera davvero significativa.

La chiusura del concerto è affidata ad un brano, Woodstock, contenuto in Ladies of the Canyon, album che la Mitchell realizzò nel 1970 ed il cui titolo fa riferimento a Laurel Canyon, culla della cultura musicale popolare a Los Angeles negli anni ‘60: questo pezzo, riproposto successivamente anche da CSN&Y all’interno di Deja Vu, ha una storia curiosa perché venne impostato in base ai racconti del suo fidanzato dell’epoca, Graham Nash, riguardanti il Festival di Woodstock al quale lei non aveva potuto partecipare perchè il suo manager volle che apparisse nello spettacolo televisivo The Dick Cavett Show, e fu completato in una stanza di hotel, a New York City, mentre seguiva in televisione alcuni servizi sul festival.

David Crosby, in un’intervista concessa per il documentario Joni Mitchell: Woman of Heart and Mind affermò che, a suo parere, con quel brano la Mitchell aveva catturato lo spirito di Woodstock meglio di chiunque altro.

Shadows and Light è, senza alcun dubbio, un vero e proprio punto di arrivo, una sorta di spartiacque nell’evoluzione musicale di un’autrice e compositrice immensa, che ha trovato nei musicisti coinvolti in questo lavoro la sublimazione definitiva dei primi quindici anni della propria carriera; inutile dire che, da questo momento in poi, il suo percorso artistico subirà numerosi e rilevanti mutamenti.

(Elektra/Asylum Records, 1980)

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