JAMES MADDOCK – NO TIME TO CRY

(Aldo Pedron)

James Maddock è molto legato alla sua città di origine Leicester in Inghilterra dove è nato nel 1962 e dove ha ancora i suoi familiari e gli amici di un tempo ma ciò non gli impedisce di essere coinvolto affettivamente anche alla sua città d’adozione, New York dove è approdato nel 2003.

Se penso a James Maddock incontrato più volte ho il ritratto di una persona affabile, intelligente, ironica, quieta, sorridente, amica. 

La sua discografia inizia ad essere nutrita, numerosa, importante, ma lasciatemi ricordare i suoi tre piccoli capolavori Sunrise On Avenue C del 2009, Live At Rockwood Music Hall del 2010 e Wake Up And Dream del 2011 tutti e tre per l’etichetta Casa Del Fuego.

I suoi più recenti lavori discografici restano invece Insanity Vs. Humanity (Appaloosa del 2017), un brillante affresco con riflessioni politiche volte ai cambiamenti sociali nel suo paese adottivo, l’America di Trump e It Ain’t Fixed Don’t Break It (Appaloosa del 2018) dove lui stesso sentiva   una forte esigenza di essere più leggero, brioso, divertente con il risultato di un disco ugualmente piacevole dal gusto vintage-pop.

In Italia Maddock resta un musicista di culto nonostante abbia tantissimi fans che lo seguono con entusiasmo oramai da 10 anni, inoltre l’Italia è la sua seconda casa incidendo diversi dischi per l’italiana Appaloosa.

Con No Time To Cry ritorniamo ai livelli dei tempi migliori con un preciso salto di qualità rispetto agli ultimi dischi, vuoi perché la band che lo accompagna è esemplare con il fidato Aaron Comess alla batteria e gli eccelsi strumentisti David Immergluck dei Counting Crows al mandolino e pedal steel guitar e Brian Mitchell alle tastiere (pianoforte, fisarmonica, organo).

Un album dedicato alla figura femminile, alla compagna in cima alle scale (Top Of The Stairs), la Sophie Magdalena ascoltando jazz e Lady Day (Billie Holiday) in No Time To Cry (ndr. Lady Day è anche il nome tradizionale in alcuni paesi di lingua inglese della festa dell’Annunciazione, che si celebra il 25 marzo, e commemora la visita dell’arcangelo Gabriele alla Vergine Maria).

L’iniziale Williamsburg Bridge (Il ponte di Williamsburg è un ponte sospeso di New York che attraversa l’East River) con le stelle sopra la città tra la South Second e la Briggs ci riconcilia subito con la buona musica, fisarmonica e mandolino in evidenza, una trasposizione di un brano di Cariad Harmon, una giovane e brava cantautrice di Brooklyn (dove vive ora James Maddock), una canzone da lei scritta ed incisa nel 2014.  

Bellissima New York Skyline, con la sua Baby Jean, regina del varietà, una preziosa cover di un brano di Garland Jeffreys dal suo secondo album e capolavoro Ghost Writer (A & M Records del 1977). Un brano stupendo, una romantica ed appassionata serenata con liriche che rendono il mondo più giusto, il pianoforte e un’atmosfera evocativa con l’immagine delle luci abbaglianti dei grattacieli di Manhattan.

James Maddock si dichiara socialista ed alcune sue canzoni hanno connotazioni politiche, l’importante è come dice lui di non oltrepassare la linea sottile che separa la canzone dal fare prediche o sermoni. Time To Cry a guardar bene è una canzone politica ma fatta in un modo che non ti martelli in testa, così come lo sono Fucked Up World e The Mathematician entrambe in Insanity Vs. Humanity.

Bella e romantica Waiting For My Girl con la pedal steel guitar di David Immergluck e i violini di Heather Hardy.

Splendida The A Train Takes You Home che rimanda a scene sulle carrozze del metro, sotto la pioggia in una Uptown piena di pozzanghere (…ti trucchi sul treno del metro, oltrepassi la casa in cui viveva Bob Dylan, metti il rossetto sulla A diretta a nord ed incontri un ragazzo in Carmine Street…e poi la linea A del metro ti porta a casa…).   Un brano di 7 minuti e mezzo che richiama in parte la Mandolin Wind di Rod Stewart dall’album Every Picture Tells A Story del 1971 con il mandolino di David Immergluck, il violino di Heather Hardy ed il piano e l’organo di Brian Mitchell e un lirismo ed finale in crescendo davvero toccante e pregevole.

Un po’ sottotono I’ve Driven These Roads e The High Chose You (Lo sballo ti ha scelto)… La birra non ha lo stesso sapore senza la cocaina…Omar Sharif, Janis e Jim, alcuni vanno a fondo altri restano a galla… quest’ultima composta con il co-produttore e chitarrista Scott Rednor.

Chiude la dolcissima Top Of The Stairs, con una illuminante melodia … una lucina ci guida lungo il percorso, il cielo aiuti chi non ha nessuno da amare, in quella stanza in cima alle scale.

Maddock canta con quella voce roca, soffusa, suadente che rimanda a Steve Forbert e Rod Stewart e queste rock ballad gli calzano a pennello. Un disco elegante, accorato, suonato divinamente, romantico e decisamente riuscito.  

Track List:

Williamsburg Bridge
The A Train Takes You Home
Waiting On My Girl
I’ve Driven These Roads
The High Chose You
New York Skyline
No Time To Cry
Open Up To You
Top Of The Stairs

(Appaloosa / I.R.D. 2020)

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