Intervista a Terence Blanchard: “Suonare la tromba è il mio modo di cantare”

“La tromba è stata il mio primo amore. E’ il mio modo di cantare” (T. Blanchard)

La vita è strana e spesso percorre strade sconosciute. Un paio di settimane fa ho avuto l’incredibile onore di intervistare Terence Blanchard, uno dei più grandi trombettisti e compositori, un artista considerato unico nel mondo del jazz e non solo.

Terence Blanchard è noto anche per essere stato nominato a due premi Oscar per aver composto le colonne sonore dei film di Spike Lee BlacKkKlansman (2018) e Da 5 Bloods (2020) e per aver vinto sei Grammy Awards.

Terence Blanchard si è esibito alla Philarmonie in Lussemburgo insieme al suo ensemble, E-Collective e al Turtle Island String Quartet, nell’ambito di un tour pensato per rendere omaggio al grande Wayne Shorter, considerato uno dei più grandi compositori al mondo e uno dei più grandi sassofonisti jazz di tutti i tempi.

In questa intervista, Terence Blanchard racconta di come sia nato il suo amore per la tromba, di come compone la musica per le colonne sonore dei film e dell’importante sfida nel cimentarsi nella composizione di un’opera – Fire Shut Up in My Bones, basata sul best seller del 2014 del giornalista del New York Times Charles M. Blow, è stata la prima opera composta da un compositore afroamericano a debuttare al Metropolitan Opera di New York in 136 anni della location.

Parlando di questo tour, il cui obiettivo è rendere omaggio a Wayne Shorter, Blanchard spiega anche perché sia importante rendere omaggio ad artisti ancora in vita.

La vita è strana. Quando ho incontrato Terence Blanchard per l’intervista avvenuta prima del soundcheck, Wayne Shorter era ancora in vita (Wayne Shorter è morto il 3 marzo 2023).

D.: Come ha scoperto la musica e perché ha scelto la tromba come strumento?

T.B.: Non sono io ad aver scelto la musica, è che la musica ha scelto me. Sono cresciuto a New Orleans e lì sei davvero circondato dalla musica. Mio padre era un cantante. Cantava in chiesa. Da bambino, poi, andavo per strada ad ascoltare le “brass bands”. Ho iniziato a suonare il pianoforte quando ero molto piccolo, a cinque anni. Qualche anno dopo, però, ho sentito un musicista locale, Alvin Alcorn, un trombettista, ed è stato allora che ho deciso di iniziare a suonare la tromba.Immagine

D.: Non è la prima volta che viene alla Philarmonie qui in Lussemburgo. Cosa le piace di questo luogo?

T.B.: La Philarmonie ha un’ottima acustica ed è una location fantastica. È sempre un grande piacere tornare qui, quindi non vedo l’ora che arrivi questa sera. Ci sarà molta gente, un pubblico preparato.

Lei è qui per rendere omaggio al grande Wayne Shorter

T.B.: Sì, signora.

D.: Perché è così importante per lei?

T.B.: Per tanti anni sono stato coinvolto in progetti il cui scopo era quello di ricordare artisti che ormai non c’erano più. Non volevo più fare questo. Volevo davvero che Wayne sapesse cosa significa per noi. In effetti, questo è ciò di cui parlo durante il concerto. Deve sapere che gli vogliamo bene. Deve sapere che apprezziamo il suo contributo non solo alla musica ma al mondo, perché il suo impegno sia come buddista sia come musicista ha avuto un impatto enorme su molte vite. Vogliamo solo che lui lo sappia.

D.: Oltre a essere un trombettista e un musicista jazz, lei è anche un compositore di colonne sonore, dalla collaborazione con i film di Spike Lee fino a “Herriette”, “The Woman King” e “Il padre della sposa”. Come affronta la composizione di musica per il cinema? Il suo approccio è diverso rispetto a quando compone musica jazz?

T.B.: Penso che le intenzioni siano diverse. La parte tecnica è più o meno la stessa: lo sviluppo una melodia, di una linea armonica e un ritmo. Le intenzioni della musica, però, sono diverse. Nei film, aiuto qualcun altro a raccontare una storia cercando di mantenere una certa coerenza con il racconto. Quando mi avvicino a un film, cerco di capirne il senso, la velocità. Devo capire quando devo dare spazio alle conversazioni. Ad esempio, “Il padre della sposa” è una commedia ed è, quindi, molto diversa da “The Woman King”. In “The Woman King”, l’intenzione della musica è proprio quella di spingere la storia e aiutare Gina (Gina Prince-Bythewood, la regista del film) a raccontarla secondo la sua visione e non la mia.

D.: Legge prima la sceneggiatura? Decide cosa fare insieme al regista o dipende da film a film?

T.B.: Dipende da film a film, perché alcuni registi non mi danno prima la sceneggiatura. Spike Lee è l’unico a darmi prima la sceneggiatura. Anche Gina l’ha fatto. Ma il punto è questo. Avere prima la sceneggiatura non so se sia d’aiuto, in quanto compongo sulla base di ciò che leggo. Solitamente inizio a scrivere sulla base delle mie immagini. È il mio film. Non è quello di Gina o di Spike. In passato mi è capitato di avere prima la sceneggiatura e ho iniziato a comporre. Poi ho visto il film e ho iniziato a pensare che non fosse quello che avrei voluto realizzare. A volte capita che il film si muova più velocemente rispetto a quello che avevo immaginato nella mia mente. C’è un film che abbiamo fatto con Spike Lee – “Miracolo a Sant’Anna” (un film epico di guerra, con Pierfrancesco Favino e Valentina Cervi tra gli altri) – in cui Spike ha iniziato a mandarmi delle immagini di quello che effettivamente stava girando. Questo mi è stato molto utile perché ho potuto vedere come era realmente il film. Intendo le diverse “sfumature”.

D.: Prima abbiamo parlato del suo tributo a Wayne Shorter qui alla Philarmonie, ma sappiamo anche che la Metropolitan Opera renderà omaggio a lei, ai suoi risultati come musicista, al suo contributo alla musica e all’arte in generale, e naturalmente a lei come attivista, con “See Me As I Am: Lincoln Center’s Year Long Celebration of Terence Blanchard”. Cosa ne pensa?

T.B.: Beh, è una di quelle cose che sto ancora cercando di capire. Sono sempre così impegnato a lavorare su molte cose che, a volte, non ho nemmeno la possibilità di vedere o pensare a tutto cio’ che ho fatto. Quando hanno iniziato a pensare a tutto questo e il mio manager e il mio agente hanno iniziato a parlarmene sono rimasto affascinato e sopraffatto dall’idea. È incredibile pensare di avere rappresentazioni di tutto quello che ho fatto durante tutto quest’anno. Sono entusiasta. Sono entusiasta dell’opera. Il mese prossimo dovrò andare a New York per le prove. Sono davvero emozionato per questo. L’opera è una di quelle cose che non riesco a spiegare. Per esempio, ogni volta che faccio un film, il film stesso è già pronto, ma quando scrivo un’opera, ho delle immagini in mente e devo scrivere per trasferire quelle immagini in musica. Ci sono attori, ballerini, costumi e persone sul palcoscenico e, a quel punto, inizi davvero a realizzare che non ti sei immaginato tutto. La cosa bella dell’opera è che rappresenta il risultato di un processo di collaborazione. Tutte le persone coinvolte danno il loro contributo. Più i cantanti si trovano a loro agio con i materiali, più iniziano a sfruttare anche le loro peculiarità. È un’esperienza pazzesca. Direi che è selvaggia! Dico sempre ai miei amici: “Smettetela di pensare all’opera come a quella cosa con i vichinghi, le corna, ecc. Non è quello che è in realtà”. Per me l’opera è la forma più alta di teatro musicale che si possa sperimentare. Mi sento fortunato a farne parte ora, ma allo stesso tempo voglio vedere come va perché è la prima volta che facciamo tutto questo.

D.: Le piace occuparsi di tutti gli aspetti legati all’opera? Intendo non solo la parte musicale o compositiva, ma anche essere presente e vedere, per esempio, i costumi. Le faccio questa domanda perché è un suo progetto, è come se fosse suo figlio.

T.B.: Quando abbiamo fatto la prima produzione, una delle mie grandi preoccupazioni per quest’opera – “Champion: an opera in jazz”- era l’azione dell’attore che avrebbe dovuto interpretare il pugile. Non c’è niente di più orribile di vedere qualcuno che prova a fare pugilato ma non sa farlo davvero. Non è debba essere un esperto, ma deve dare l’impressione di esserne capace. Poi c’è la parte del canto. I cantanti d’opera hanno le loro parti già scritte. Anch’io lo faccio, ma lascio loro anche la possibilità di fare quello che vogliono. Dico sempre: “Non abbiate paura di rischiare. Non mi interessa, purché sia musicale”. Quello che sto cercando di fare è portare il jazz nel mondo dell’opera e viceversa. Quando abbiamo fatto la prima, non sapevamo quali sarebbero state le reazioni del pubblico. Alla fine, è stato un successo. Con il passare del tempo, sto iniziando a capire il mio ruolo in questo mondo. Non mi vedo come un grande compositore d’opera. Faccio semplicemente quello che mi piace.

D.: E questo perché probabilmente, al giorno d’oggi, il modo giusto di fare musica è quello di contaminarla. È d’accordo?

T.B.: È proprio quello che sta succedendo con questo gruppo (Turtle Island String Quartet e E-Collective). Abbiamo iniziato pensando di fare un disco e un paio di concerti. E questo è successo un anno fa! Sono davvero molto felice.

D.: Tra tutte le cose che ha fatto, se un giorno si svegliasse e potesse salvarne solo una, quale sceglierebbe?

T.B.: Esibirmi dal vivo, senza dubbio. È quello che ho sempre voluto fare, fin da quando ero bambino. Ascoltavo Miles Davis, Clifford Brown e tutti questi musicisti. La tromba è stato il mio primo amore. È il mio modo di cantare. Se potessi cantare probabilmente lo farei, ma non ne sono capace.

D.: Molte persone in tutto il mondo ascoltano la sua musica, ma lei cosa ascolta? Cosa c’è nella sua playlist?

T.B.: La musica che ascolto cambia continuamente. L’altro giorno, per esempio, ascoltavo Dutillex. È stato Herbie Hancock a farmelo conoscere.

D.: Vedo che tra la musica che ha ascoltato di recente c’è la colonna sonora di “The Woman King”. Le piace ascoltare la sua musica dopo averla registrata?

T.B.: In generale, non mi piace ascoltare la mia musica. La ascolto dopo averla registrata e poi smetto. La ascolto solo per controllare che sia esattamente come avrei voluto.

[Mi mostra di nuovo la playlist sul suo telefono, indicando Jimi Hendrix]

T.B.: Oh sì, c’è anche Jimi Hendrix.

Io: È uno degli artisti che ho iniziato ad ascoltare grazie a mio padre.

T.B.: Oh, davvero? Anch’io lo adoro.

Terence Blanchard E-Collective


Terence Blanchard tromba
Charles Altura chitarra
Taylor Eigsti piano
David Ginyard Jr. basso
Oscar Seaton batteria

Turtle Island String Quartet

David Balakrishnan, Gabriel Terracciano violino
Benjamin von Gutzeit viola
Naseem Alatrash violoncello

Setlist (Philarmonie, Luxembourg – 22 febbraio 2023)

Absence

The Elders

I Dare You

Dark Horse

Envisioned Reflections

Second Wave

Soldiers

Kaos

Choices

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