Intervista a Pat Mastelotto, batterista nato con il ritmo

(Raffaella Mezzanzanica)

“Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente, ma quella più reattiva ai cambiamenti.” – Charles Darwin

Se andate a controllare la pagina web ufficiale di Pat Mastelotto (https://www.patmastelotto.com) troverete questa citazione proprio all’inizio.

Quando si parla di lui non c’è niente di più vero, perché, anche se il suo nome è per lo più associato ai King Crimson, la band di cui fa parte dal 1994, Pat Mastelotto è riconosciuto come uno dei batteristi più versatili, avendo suonato al fianco di artisti incredibili come session drummer, ma anche per il suo contributo ad alcuni incredibili progetti musicali come O.R.k e Stick Men.

Non c’è altro modo per definirlo: Pat Mastelotto è un batterista nato!

In questa intervista abbiamo parlato dei suoi primi passi nel mondo della musica e della sua esperienza come membro dei King Crimson. Ha anche fornito alcuni spunti sul nuovo album degli O.R.k (preparati per il primo singolo il 22 giugno!) e sulla sua collaborazione con Marco Machera, cantautore italiano che vive a Bruxelles (Belgio).

D.: Quando hai iniziato a suonare? C’è un motivo particolare per cui hai scelto la batteria?

P.M.: Ho iniziato a suonare la batteria quando ero molto piccolo, intorno ai 10 anni. Ho frequentato una scuola di musica e ho iniziato studiando il corno. Poi il mio insegnante ha guardato me e le mie grandi mani e mi ha detto che avrei dovuto provare la batteria. Quindi, è stato il mio insegnante ad indirizzarmi. Non l’ho davvero scelto io.

D.: Cosa ricordi delle tue prime esperienze da musicista?

P.M.: Ho iniziato a suonare in una band quando avevo circa undici anni. A quattordici o quindici anni sono entrato in una band formata da studenti molto più grandi di me. Erano già tutti maggiorenni. Abbiamo iniziato a suonare nei bar. Anche se ero molto giovane, suonavo cinque sere a settimana nei locali notturni della California del Nord. A diciassette anni ho abbandonato la scuola superiore e con la band ci siamo trasferiti a San Francisco per alcuni mesi. Quando poi la band si è sciolta mi sono trasferito a Los Angeles. Mi è sempre piaciuta l’idea di far parte di molte band. Il lavoro in studio è stato solo un modo per poter lavorare con altre band.

D.: Successivamente, nel 1983 hai co-fondato i Mr. Mister, una band con un sound più pop rock e new wave. Avete avuto un successo incredibile con l’album Welcome to the Real World” e con i due singoli Broken Wings” e Kyrie”. Attualmente siamo di fronte a un ritorno al sound degli anni ’80. Cosa penseresti se dovessi immaginare questi brani pubblicati oggi?

PM: Bene. Dipende molto dall’artista. Alcuni artisti hanno fatto delle cover di questi brani. A volte non le ascolto nemmeno, quindi non saprei. 2Pac Shakur, ad esempio, aveva registrato una sua versione di “Broken Wings” ed è diventata disco di platino. Penso che le persone possano fare quello che vogliono con i nostri brani. Mi piace ascoltare le versioni di Aloyna, Clay Atkins ecc. Gli HSCC hanno fatto una cover del brano aggiungendo nuovi accordi e cambiando il ritmo. Mi piace molto questa loro versione.

D.: Da allora hai contribuito a molti altri progetti e collaborato con molti altri artisti. Poi, nel 1994, ti sei unito ai King Crimson e hai iniziato questa avventura nel mondo della musica “progressive”. Puoi dirmi di più sulla tua esperienza con questa band incredibile e in continua evoluzione?

P.M.: Sono sempre stato un grande fan dei King Crimson. Ho ascoltato la loro musica per la prima volta quando avevo tredici anni e li ho visti dal vivo per la prima volta quando avevo sedici anni. Ho sempre adorato questa band. I Beatles, The Weather Report e i King Crimson erano le mie band preferite da adolescente. Mi hanno ispirato molto. Ho incontrato Robert (Fripp) quando abbiamo suonato con David Sylvian. Robert e David suonavano insieme e siamo stati in tour insieme per diversi mesi. Poche settimane dopo la fine del tour, Robert mi ha chiamato e mi ha invitato a unirmi ai King Crimson dicendo che aveva una nuova visione per la band e la immaginava con due batteristi. Ero al settimo cielo, davvero felicissimo di poter suonare con la band, ma anche molto preoccupato del fatto che magari i fan non avrebbe apprezzato questa nuova versione. I King Crimson hanno una lunga storia di rotture. Disaccordi interni che hanno portato alcuni membri precedenti ad abbandonare la band. Quindi, quando Robert mi ha chiamato – era gennaio 1994 – ero preoccupato perché, in quella teLEFonata, mi ha spiegato come aveva immaginato i prossimi tre anni per la band, dicendomi che sarei dovuto andare a Woodstock per fare delle registrazioni e fare un EP, poi saremmo andati in Argentina per fare delle prove, poi ci sarebbero stati dei concerti, avremmo scritto del nuovo materiale ecc. Abbiamo trascorso un mese in Argentina e abbiamo composto o finito di comporre molto materiale, organizzando gli arrangiamenti. Poi siamo andati quasi immediatamente a registrare al Real World Studios a Bath (Inghilterra). Abbiamo fatto una piccola pausa per le vacanze di Natale prima di iniziare il tour europeo, il tour in Nord America e così via. Robert mi ha presentato tutto in quella prima teLEFonata. Ero preoccupato e gli ho detto che avremmo dovuto prima fare delle prove, perché se avessimo iniziato questo processo e qualcuno – per esempio Bill Bruford – non fosse stato soddisfatto, sarebbe stato molto spiacevole. Pertanto, abbiamo organizzato un incontro. Due giorni dopo la teLEFonata di Robert sarei dovuto partire per il Giappone e poi per la Svezia con la Jay Gordon Band, ma dissi a Robert che avrei potuto modificare i miei voli e andare a Londra. Ce l’abbiamo fatta e abbiamo provato insieme a casa di Bill.

D.: Ormai suoni con i King Crimson da molto tempo ma, come hai detto, ci sono stati molti musicisti prima di te che hanno lasciato la band per disaccordi interni. Qual è il tuo segreto per essere rimasto così tanto tempo?

P.M.: Non lo so ma non voglio fare troppe analisi. Semplicemente sono felice.

D.: Quando ascolto i King Crimson e quando vi vedo suonare dal vivo, soprattutto da quando avete iniziato con la nuova formazione con tre batteristi, penso a una band con una struttura simile a un’orchestra, con un modo molto preciso di suonare, provare e di approcciarsi alla musica. È questo che succede davvero?

P.M.: Sì, hai ragione. è proprio così. Proviamo molto. Con l’attuale formazione dei King Crimson negli ultimi cinque/sei anni ho fatto più prove di quante ne abbia mai fatte con qualsiasi altra band. Non proviamo per la produzione. Non proviamo luci o fuochi d’artificio. Proviamo esclusivamente la musica. Ci vuole molto tempo e c’è molta cura. Noi tre batteristi proviamo solitamente da soli. C’è una cosa molto intelligente che fa Robert:  facciamo le prove e poi ci fermiamo. Facciamo una pausa in modo da poter tornare a casa e provare ciò che è necessario. Poi, torniamo e proviamo tutti insieme di nuovo. È molto costoso perché quando proviamo insieme mi devo spostare a Londra ma, d’altra parte, in questo modo, tutti hanno la possibilità di riflettere. Le nostre ultime prove sono di solito prima della prima esibizione del tour. Non importa dove ci troviamo. Abbiamo anche alcuni spartiti. Ma quando suono con i King Crimson non ho uno spartito da seguire. Memorizzo solo la musica. Ma gli spartiti aiutano. In questo modo tutti sono organizzati. Al contrario, potrebbe essere un grosso problema con gli arrangiamenti perché sono lunghi e non si ripetono. È molto complicato capire da dove cominciare. Gli spartiti ci aiutano a identificare dove dobbiamo concentrarci, anche se ognuno usa la propria terminologia.

D.: Come ti trovi a suonare con altri due batteristi?

P.M.: Devi sempre prestare attenzione, essere consapevole, essere in ascolto. La sincronizzazione è la parte più difficile. Non suoniamo sempre all’unisono. In realtà, non suoniamo mai all’unisono. Possiamo essere flessibili ma i pezzi, come per un puzzle, devono unirsi.

D.: E con questa nuova formazione, ti piace stare davanti sul palco?

P.M.: Non mi piace per niente. È difficile sentire e non puoi vedere gli altri membri della band. Inoltre, stare davanti rende la batteria molto rumorosa per il pubblico. Tre batteristi nella parte anteriore del palco rendono difficile anche al tecnico del suono controllare ed equilibrare il tutto. Questo è il motivo per cui i batteristi stanno solitamente dietro, anche quando suonano in un’orchestra.

D.: C’è qualcosa che puoi fare in proposito?

P.M.: Robert lo aveva deciso prima che iniziassimo a suonare insieme, prima ancora che ci incontrassimo. Me l’ha detto la prima volta in cui ci siamo sentiti al teLEFono. Ci saranno tre batteristi e staranno davanti. A volte, a causa del tipo di palco, Gavin non può nemmeno vedere Robert perché è dietro di lui.

D.: I King Crimson sono una band molto controversa. Ci sono state molte discussioni e polemiche quando è stato presentato “In the Court of Crimson King”, il recente documentario che celebra il 50° anniversario dalla fondazione della band. Alcuni hanno affermato che sia un documentario su Robert Fripp e non sulla band. Qual è il tuo punto di vista?

PM: Il documentario non è ancora uscito. È stato presentato in anteprima e si sta cercando di trovare un distributore. C’è molta concorrenza per quanto riguarda i documentari. Come band, non abbiamo avuto molto a che fare con la realizzazione. Robert ha scelto Toby Amies perché non è assolutamente un fan dei King Crimson. Lui ci ha seguiti nel tour del 50° anniversario. In pratica è rimasto con noi per quasi due anni. Ha finito il film. Io non l’ho visto, ma Robert e David Singleton l’hanno visto e immagino abbiano pensato che fosse inaccettabile. Così, è stato fatto un documentario completamente nuovo. Apparentemente, la prima versione non conteneva musica. Erano tutte immagini e dialoghi. Per rispondere alla tua domanda: “è un documentario su Robert o sui King Crimson?” E’ una linea di confine molto sottile. Molti vedono Robert e i King Crimson come una cosa sola e penso che non ci sarebbero i King Crimson senza Robert. La band si sarebbe fermata molto tempo fa. Robert aveva una grande passione e gioia per la band. Ha capito la direzione e ha tenuto vivo il fuoco. Non è insolito che sia lui il protagonista del film. Il film tratta molto della malattia di Bill Rieflin. Sapevamo tutti da molto tempo che sarebbe morto. Non sapevamo quando, ma sapevamo che il momento sarebbe arrivato presto. Era qualcosa a cui pensavo ogni sera in cui suonavamo. La prima volta che ci siamo incontrati – era il 2013/2014 – Bill stava uscendo dall’ospedale. Bill ed io eravamo i due batteristi americani nella band. Per questo motivo io e lui abbiamo trascorso molto tempo insieme. Quando eravamo in Inghilterra, gli altri membri della band andavano a casa e io e Bill andavamo al ristorante. Era una vera esperienza ordinare quando ero in compagnia di Bill. Puttanesca! Noi due viaggiavamo insieme in macchina ogni giorno, trascorrevamo molto tempo insieme. Sapevo che era molto malato. Ciò ha dato una prospettiva diversa all’urgenza e al potere della musica. Se le persone cercano in questo documentario sui King Crimson immagini della vita in tour, con backstage, interviste ecc., beh, non è così. Toby ha parlato con molte persone del pubblico. Ha trascorso anche molto tempo a cercare di capire il motivo per cui il pubblico torna, il motivo per cui piacciono i King Crimson, il motivo per cui le persone vengono a un concerto e poi tornano ancora e ancora. E’ come se le persone avessero delle rivelazioni quando ascoltano i King Crimson. E se ne rendono conto più tardi. E quando se ne accorgono vogliono tornare a vedere di nuovo la band per rivivere quella sensazione. Questo crea un’aspettativa. Questo è vero per ogni band, ma Robert è particolarmente sensibile a questo aspetto. Oggi è molto difficile lavorare insieme. Nella band emergono attriti, la stampa viene coinvolta e questo fa sì che le persone abbiano opinioni prima ancora di ascoltare. Ignorano l’evoluzione. I King Crimson sono un organismo organico, quindi in continuo cambiamento. Se rimane lo stesso, è destinato a morire.

D.: Nel 2007 hai formato gli Stick Men, insieme a Tony Levin e Michael Bernier e poi con Markus Reuter. Di recente sei stato in tour con loro negli Stati Uniti. Com’è stato tornare alla musica dal vivo?

PM: È stato fantastico. Ho avuto la possibilità di vedere quanto la musica influisca sulle persone. Quando andiamo in tour con i King Crimson ci sono sempre troppe persone. Non possiamo interagire con il pubblico. Il pubblico di Stick Men è molto più piccolo, spesso poche centinaia di persone. Raccontiamo storie, firmiamo autografi e scattiamo foto. Questo ci permette di avere molti riscontri dalle persone. E’ molto bello ascoltare le persone che ti raccontano quanto la tua musica significhi per loro. Poi c’è il rovescio della medaglia. Quando siamo in tour con Stick Men, andiamo da una città all’altra tutti in macchina con Tony Levin. Tony guida e io mi siedo dietro. Alcuni locali avevano regole Covid molto rigide, anche per noi, quindi abbiamo dovuto fare diversi test anti Covid. E nonostante questo ci siamo ammalati tutti. Eravamo in macchina insieme e ho iniziato a starnutire. All’inizio pensavo fosse la mia allergia. Ma poi Markus Reuter si è ammalato. A quel punto, avevamo fan venuti a Chicago che ci inviavano e-mail dicendoci che erano risultati positivi al Covid, chiedendoci se avessimo avuto qualche sintomo. Effettivamente, al giorno d’oggi diventi più apprensivo, soprattutto se devi stare in macchina con altre persone per dodici ore.

D.: Hai ragione. Come fan, quando vado a vedere una band suonare dal vivo, mi piace anche l’interazione. Come hai sottolineato, con i King Crimson manca quella parte, anche se, ovviamente, la musica è fantastica. Sei d’accordo?

P.M.: È un po’ strano per tutti noi nella band, ma apprezziamo la visione di Robert e vogliamo supportarla al massimo.

D.: Sei anche parte di un altro incredibile supergruppo, O.R.k, insieme a Carmelo Pipitone (Marta sui Tubi, chitarra), Colin Edwin (Porcupine Tree, basso) e LEF (Obake, Berserk!, voce, tastiere). So che c’è qualcosa di nuovo in uscita. Puoi dirmi qualcosa di più?

P.M.: Abbiamo lavorato a un nuovo disco, che sarà il nostro quarto disco insieme e che sarà pubblicato su Kscope. Abbiamo iniziato a registrarlo nel 2019 e praticamente lo abbiamo fatto condividendo file, considerando che io vivo negli Stati Uniti, Carmelo e LEF in Italia e Colin in Inghilterra. Fondamentalmente è così che abbiamo realizzato tutti i nostri quattro album. I brani degli O.R.k di solito non iniziano con me. Ricevo file con una bozza della canzone. Suono una prima versione della batteria, lo mando indietro e poi iniziamo a perfezionare il tutto. A volte, quando mi rimandano il brano la mia parte preferita della canzone è sparita, a volte trovo una strofa completamente nuova. Man mano che questo processo continua, alcune canzoni diventano più forti e altre più deboli. Avevamo dieci o dodici canzoni quasi pronte prima del Covid, ma durante il lockdown ne abbiamo aggiunte altre dieci o dodici. E’ anche successa una cosa molto strana. A marzo 2020 LEF mi ha inviato la prima bozza di una ballad intitolata “Goodbye my friend” e mi è arrivata proprio il giorno dopo la morte di Bill. A quel punto ho pensato: “E se questo fosse il mio ultimo disco?” L’album è molto forte dal punto di vista della composizione. Come sempre accade con O.R.k è musica progressive, a volte quasi heavy metal. Ma è anche pop. Sento molto il suono degli anni ’80, perché Carmelo (Pipitone) e LEF sono più giovani di me. Hanno sperimentato quella musica durante la loro adolescenza. Forse non Mr. Mister, ma il suono più contemporaneo come quello dei Duran Duran. Lo sento nel loro modo di scrivere le canzoni. Sento anche l’opera perché LEF ha studiato questo genere musicale. Carmelo è molto punk. Il punto è che con O.R.k non facciamo canzoni da dodici minuti, non ne facciamo nemmeno da sei minuti. C’è molta produzione. Abbiamo scelto un amico mio e di LEF, il produttore Machine – ha prodotto “The Power to Believe” dei King Crimson – per il mixing. L’album ha un grande sound e adoro il suono della mia batteria al suo interno. Ha potenza, chiarezza e densità. C’è stato un po’ di ritardo perché Adam Jones (Tool) ha realizzato l’artwork e, a causa dei suoi impegni, ho dovuto sollecitarlo più volte. Lo pubblicheremo nell’autunno 2022, ma uscirà un singolo tra poche settimane. Ti posso anche dire che includerà un duetto in cui LEF canta insieme ad Alice (Visconti).

D.: Hai collaborato anche con Marco Machera. So che c’è qualcosa su cui stai lavorando anche con lui in questo momento. Mi puoi dire di più?

P.M.: Marco è fantastico. Penso che abbia tantissimo talento. Ho collaborato ad alcuni dei suoi precedenti album e siamo diventati amici. Ogni volta che suoniamo con Stick Men o O.R.k in Italia, viene e suona con noi. È un cantautore meraviglioso. A volte, se non so cosa voglio fare con la mia musica, ad esempio con “A Romantic Guide to King Crimson” o i remix di Steven Wilson, lo chiamo e glielo chiedo perché so che ascolta tutta la canzone e mi dà il suo parere. Abbiamo una bella connessione. Il suo nuovo album è fantastico.

D.: Tornando ai King Crimson, parliamo di 21st Century Schizoid Man”, una canzone che ha definito un genere ma che è stata anche pubblicata come inno contro la guerra. Come ti fa sentire suonare questa canzone oggi considerando quello che sta succedendo nel mondo?

PM: Quanto sta accadendo in Ucraina mi sembra una follia. È successo tutto così in fretta. Lo avevamo previsto da alcuni mesi, ma poi, quando è successo ci ha lasciato sotto shock. Eventi come questo rendono almeno una parte della musica più rilevante.

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