Intervista a Genéa Gaudet: regista di video musicali e di documentari che esplora, attraverso i suoi lavori, la diversità di genere, la memoria e le relazioni umane.

“Girls United!” è nata come rubrica di esplorazione del mondo musicale femminile, come racconto di donne che, attraverso il loro lavoro e la loro arte, cercano di trasmettere dei messaggi forti. Qualche tempo fa avevo parlato di Year of the Woman, l’ultimo singolo dei Dispatch, il cui video è diretto da Genéa Gaudet.

Genéa (pron. Jenaya) Gaudet è una regista di origine canadesi, trapiantata a Los Angeles, che, nelle sue opere si occupa di tematiche legate alla sessualità, alla parità di genere, alla memoria e, in generale, alle relazioni umane. Genéa ha curato video per tantissimi artisti, tra cui I’m With Her, The Revivalists, Violent Femmes e altri.

Ho deciso di contattarla ed è stato per me un grande onore avere la possibilità di intervistarla.Ecco di cosa abbiamo parlato.

Ciao Genéa,
prima di tutto vorrei ringraziarti per il tuo tempo. E’ un vero onore per me avere la possibilità di intervistarti per la mia rubrica “Girls United!”, un progetto che ho cercato e voluto fortemente e che ha l’obiettivo di “dar voce” a donne che hanno un impatto nel mondo musicale.
Le “mie” donne non sono solo delle artiste ma sono combattenti. Si battono per ciò in cui credono e lo fanno diffondendo i loro messaggi attraverso l’arte.
Sin dal primo momento in cui ti ho “scoperta” ho subito pensato che avresti dovuto entrare a far parte della famiglia di “Girls United!”.

D: Quando hai capito che avresti voluto diventare una regista?
GG: Inizialmente facevo la scrittrice e ho frequentato la scuola di giornalismo perché mi sarebbe piaciuto scrivere articoli per delle testate giornalistiche. Mi sono, però, resa conto che il cinema è una forma d’arte più complessa della scrittura: si tratta di aggiungere parole e suono. Così, mi sono iscritta alla scuola di cinema.

D: Quanto è difficile essere una regista oggi? Ci sono stati dei cambiamenti negli ultimi anni per le registe?
GG: Penso che sia semplicemente difficile essere un regista. Tuttavia, l’industria cinematografica è talmente dominata dagli uomini che chi decide di assumere un regista non può nemmeno immaginarsi una donna in quel ruolo perché non ne hanno mai vista una. Penso che siano stati fatti molti progressi e, anche se i numeri sono ancora molto bassi, sono ottimista sul fatto che le cose cambieranno in futuro.

D: Ho fatto molte ricerche nel mondo musicale femminile toccando un po’ tutte le professioni (cantanti, musiciste, fotografe, registe…) e sembra che questa situazione sia diffusa a tutti i livelli ma, fatto ancora più preoccupante, sia diffusa in tutto il mondo. Diventa, quindi, sempre più importante l’unione tra le donne. A tal proposito, ci parli dei progetti “Free the Bid” e “Boyish”?
GG: “Free the Bid” è un’organizzazione creata dalla regista Alma Her’el (Honeyboy, Bombay Beach) dopo essersi resa conto di quanto fosse diventato difficile trovare ruoli da regista in ambito pubblicitario. Così, Alma ha spinto le agenzie di pubblicità a firmare una petizione con lo scopo di assumere più donne registe. Oggi, questo progetto si è evoluto diventando “Free the Work” – l’idea di base è la stessa ma vengono coinvolti i membri più svantaggiati della comunità che cercano di trovare lavoro nel cinema, nella televisione e nella pubblicità.
“Boyish” è un sito web dedicato alla promozione del lavoro di registe.
Sono davvero grata di essere parte di entrambe queste organizzazioni.

D: Negli ultimi anni, attrici e registe e le donne in generale, hanno trovato il coraggio di parlare delle violenze subite, degli abusi e, soprattutto di denunciare. Secondo te, qual è la ragione? Potrebbe essere la conseguenza di ciò che sta succedendo in ambito politico negli Stati Uniti?
GG: Certamente. Penso che sia una diretta conseguenza del movimento #Metoo. In tutta onestà, non avrei mai pensato di assistere a così tanti progressi nell’interesse alle battaglie femministe in tutta la mia vita. E’ un grande sollievo sapere che le donne di domani non dovranno combattere per la stigmatizzazione ricevuta nel passato.

D: La tua società di produzione si chiama “Girlfight Pictures”. Qual è la ragione per cui hai scelto questo nome?
GG: Ho scelto il nome “Girlfight Pictures” dopo aver finito il mio internship per Jon Sloss (n.d.r. avvocato specializzato nell’industria “Entertainment”), il quale ha rappresentato “Girlfight”, il film di Karyn Kusama (n.d.r “Girlfight”, film sul pugilato interpretato da Michelle Rodriguez e diretto da Karyn Kusama, regista e sceneggiatrice statunitense) al Sundance Festival 2000. Il fatto che Karyn fosse riuscita a dirigere e a vendere uno dei film più apprezzati di quella edizione del Sundance mi ha ispirato e ho voluto che la mia società fosse il riflesso di quella ispirazione.

D: Ti ho scoperta grazie al video dei Dispatch “Year of the Woman”, del quale hai curato la regia. Il brano è stato pubblicato proprio nella Giornata Mondiale per i Diritti Umani. Parlaci del processo creativo di questo “video di protesta per un brano di protesta” (cit. Genéa Gaudet). In aggiunta, come è stato lavorare con una band così coinvolta in battaglie e tematiche sociali?
GG: Mi sono innamorata della canzone non appena l’ho ascoltata. Non ci sono così tanti artisti come i Dispatch, così aperti politicamente e pronti a metterci la faccia. Ho fatto salti di gioia all’idea di poter creare un “video di protesta”. Abbiamo discusso insieme e, sebbene fossimo d’accordo sul concept generale del video, ho dovuto lottare per convincerli ad apparire nel video. Essi avrebbero voluto che fosse un video esclusivamente focalizzato sulle donne. Tuttavia, per me quel brano aveva qualcosa in più. Ho sentito molti uomini utilizzare questa espressione dalla nascita del movimento #Metoo: “Vogliamo essere parte della soluzione, ma non siamo certi di cosa si possa fare”. Gli uomini giusti non vogliono essere sotto i riflettori, ma vogliono solo essere coinvolti. E così ci sono artisti bianchi che utilizzano il loro talento per criticare la tirannia di altri bianchi – si rivolgono ai loro simili, dicendo loro che possono fare di più e meglio. Questo è un esempio perfetto di ciò che succede.
Dal punto di vista creativo, volevo rappresentare donne forti in situazioni che avrebbero potuto portare ad una violenza sessuale. Non avevo alcuna intenzione di mostrare le vittime di violenza come impotenti. Certo. Perché quando si è vittime di abusi, questa potrebbe essere una conseguenza. (E va bene!) Ma le vittime sono anche coraggiose e forti – specialmente quando decidono di esporsi e di raccontare la verità. Le donne rappresentate nel video appartengono a diverse realtà e in tempi diversi hanno raggiunto importanti traguardi. Non sono necessariamente vittime di violenza. Molte di loro sono eroine e nessuno lo sa.
Penso che questo video di protesta, unitamente al brano, sia così rilevante ai giorni nostri perché il movimento #Metoo non è ancora riuscito a cambiare le cose. I diritti delle donne vengono ancora calpestati e c’è ancora molta reticenza nel dare credito alle donne che denunciano di aver subito un abuso sessuale. Abbiamo ancora un predatore sessuale come Presidente degli Stati Uniti.
Spero davvero che il video e la canzoni siano interpretati come un modo per continuare a resistere.

D: Essendo anche una regista di video musicali, hai sicuramente avuto la possibilità di essere coinvolta nel processo di trasformare le parole e la musica in immagini, così come curare la regia di concerti a fini anche promozionali (es: The Revivalists). Ci spieghi come funziona questo processo? Si tratta di “dare e avere” tra regista e artista/i o c’è dell’altro?
GG: Gli artisti lasciano molta libertà d’azione ai registi e questo mi ha davvero sorpresa. Ero solita occuparmi della regia di campagne pubblicitarie dove il processo creativo è estremamente controllato e sono rimasta davvero colpita nel realizzare che, per quanto riguarda la musica e i video, succeda esattamente il contrario. Gli artisti ti danno il loro parere ma si fidano di te e delle tue competenze come regista e ti danno la possibilità di prenderti dei rischi. (Questo, ovviamente, riguarda gli artisti con cui io ho lavorato. Sicuramente altri registi avranno avuto esperienze totalmente opposte).

D: Tra gli artisti con cui hai lavorato possiamo citare: I’m With Her, The Revivalists, Béla Fleck & Abigail Washburn, Violent Femmes, Dispatch e molti altri. Ti posso dire che si tratta di artisti che io personalmente amo moltissimo e che per me rappresentano i volti differenti della musica contemporanea, una musica senza “genere” ma che rappresenta una evoluzione della musica contemporanea. Questo aspetto stimola il tuo processo creativo?
GG: Sono stata davvero fortunata ad aver avuto la possibilità di lavorare con band che stimo anche per il tipo di musica che fanno. In tutta onestà, se non riesco a trovare un’idea che mi piace per un video, preferisco rifiutare. Qualche volta questo succede perché la musica non mi parla. Altre volte è perché la musica non si sposa con il mio stile creativo e so che non potrei dare l’output desiderato.

D: Fatto salvo il tuo lavoro come regista, la musica rappresenta un aspetto importante nella tua vita? E, in caso affermativo, quali sono i tuoi artisti e generi musicali preferiti?
GG: Sì, sì, sì. Stavo parlando proprio l’altro giorno con un altro regista di video musicali ed eravamo d’accordo sul fatto che la maggior parte dei registi di video sono musicisti falliti. Questo rappresenta il solo modo per entrare a far parte dell’industria musicale.
La musica ha iniziato a far parte della mia vita dall’età di dodici anni. Mi sono un po’ allontanata dalla musica dalla fine degli anni ’90 e gli inizi del 2000 ma ora ho ritrovato artisti che avevano avuto molto successo in quegli anni, tra cui My Bloody Valentine, Slowdive e, in generale, il genere “shoegaze”. E ho anche riscoperto artisti come Cocteau Twins, Patti Smith, così come band della città di Los Angeles come The Moaning e Starcrawler. Ma, davvero, mi piacciono tutti i generi musicali: folk, hip-hop, punk, anche il jazz. Mi piace moltissimo Kevin Abstract e Brockhampton. Trovo davvero interessanti le ultime produzioni di Missy Elliott, accompagnate da video davvero incredibili.

D: Ci sono dei particolari progetti su cui stai attualmente lavorando e di cui ci vorresti parlare?
GG: Attualmente sto terminando un documentario che avevo iniziato cinque anni fa e che tratta del processo a un uomo accusato di molestie dalla propria figlia. Sto anche terminando un episodio per una serie televisiva intitolata “PRIDE” che tratta della crescita del movimento politico LGBTQ e che verrà trasmesso da un network televisivo negli Stati Uniti.

Grazie Genéa per aver risposto alle mie domande. Ora sei entrata a far parte della famiglia di “Girls United!”.

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