Intervista a Ben Morrison: ecco come abbiamo trovato un equilibrio tra musica e tecnologia

(Raffaella Mezzanzanica)

The Brothers Comatose è una band bluegrass originaria di San Francisco. E’ formata dai fratelli Ben Morrison (voce e chitarra) e Alex Morrison (voce e banjo),  e da Scott Padden (voce e basso), Philip Brezina (violino), and Greg Fleischut (mandolino).

Hanno recentemente pubblicato un nuovo singolo, “Steel Driver”, il primo estratto dal loro nuovo album, che verrà pubblicato prossimamente.

Ho intervistato Ben e abbiamo parlato proprio del nuovo album, delle origini della band e anche di come la città di San Francisco sia cambiata, soprattutto in questi ultimi anni. Inoltre, mi ha raccontato come la pandemia li abbia aiutati a capire come trovare un equilibrio tra il genere bluegrass e l’utilizzo della tecnologia.

Ciao Ben,

Per prima cosa vorrei ringraziarti per aver trovato il tempo per questa intervista. So che è mattina presto in California e che sei da poco diventato papà. Congratulazioni!

Q.: Se non sbaglio vivi a Oakland, vero?

B.M.:Sì, sono a Oakland.

Io.:Quando ho parlato con Casey (il manager di The Brothers Comatose), mi aveva detto che vivi a Oakland. Sono stata una studentessa della UC Berkeley molto tempo fa. Nel 1998/1999. Mi mancano quei luoghi: Berkeley, San Francisco, Amoeba Records…

B.M.: Io e mio fratello (lui suona il banjo nella band), abbiamo vissuto a Haight-Ashbury, proprio a un isolato da Amoeba Records. Ci siamo trasferiti in quella casa nel 2001, quando frequentavo la USF (University of San Francisco) che si trova proprio in cima alla collina.

Q.: Durante un’intervista che hai rilasciato a NoteWorthy Music nel 2020 hai dichiarato: “La quarantena per me è stata grandiosa”. Mi sembra di capire che il motivo della tua dichiarazione sia dovuto al fatto di aver avuto il tempo di fare cose che non avresti potuto fare prima. Questa è esattamente la stessa cosa che altri artisti che ho avuto modo di intervistare mi hanno detto. Ora che le cose stanno migliorando, quali sono i tuoi piani? E quali i tuoi sogni?

B.M.: E’ una domanda interessante, perché ho avuto modo di passare davvero un bel periodo durante la quarantena. So perfettamente che è stata durissima per molte persone e, naturalmente, anche per me non è stato facile ma, per prima cosa, ho avuto una bambina e questo ha reso il tutto migliore. Non mi sto lamentando. Tuttavia, essere un musicista sempre in tour è sicuramente una delle professioni più belle del mondo e io lo adoro. Quando c’è stato il lockdown, ho dovuto fare un passo indietro e godermi per un po’ una vita assolutamente “normale”. Ad esempio, ho imparato a cucinare perché dovevo farlo ogni sera e, soprattutto, perché è qualcosa che non mi capita di fare molto spesso. Ho avuto modo di trascorrere del tempo con mia moglie, di godermi del tempo con la mia famiglia. Parlando di musica, ho scritto più canzoni durante il periodo di lockdown di quante ne abbia scritte prima. E’ stato bello fermarsi per un po’. Essere sempre in giro a fare concerti e fare questo per vivere è una cosa da pazzi. Non si è mai a casa. Non dormi, non mangi, bevi tantissimo, suoni ed è bello ma è stressante al tempo stesso. E’ stato un modo per allontanarsi un po’ da tutto questo. Per quanto riguarda il futuro, questo è un momento interessante. Tutti noi abbiamo dovuto fare dei passi indietro e adattarci ad un nuovo modo di vivere la musica. Per esempio, io ho fatto un sacco di live streaming. Ho pubblicato un live stream ogni venerdì da un anno a questa parte. Se ci pensi, è tantissimo! Certo, non è lo stesso tipo di sensazione che ho quando suoniamo dal vivo, perché in quel caso posso vedere le reazioni del pubblico. D’altra parte, quando premo il tasto “play” sulla mia videocamera, mi rendo conto che mi seguono persone da ogni parte del mondo: Tasmania, Australia, Brasile, Spagna ecc. E’ un’esperienza unica che non potrei avere altrimenti. Guardando al futuro, sono certo che terremo a mente tutto questo. Continueremo a fare concerti dal vivo perché è divertente e ci permette di entrare in contatto diretto con il pubblico. E, ovviamente, anche perché è il modo in cui ci guadagniamo da vivere. Tuttavia, cercheremo anche di integrare quanto abbiamo imparato in quest’ultimo anno, ad esempio fare video o fare più spesso dei live stream e trovare, quindi, nuovi modi di entrare in contatto con i nostri fan, grazie alle opportunità offerte dal mondo digitale. E questo è ancora più divertente se si pensa che il tipo di musica che facciamo è decisamente “old school”. E’ davvero divertente unire la musica e la tecnologia.

Q.: “Steel Driver” è il vostro ultimo singolo. Lo avete pubblicato recentemente e farà parte del nuovo album a cui state lavorando. Mi racconti di cosa parla questo brano?

B.M.: Il brano è stato scritto dal nostro violinista. Di fatto si tratta di una “working song”. Parla di una persona che lavora duramente per tutta la settimana e che, non appena arriva il weekend, ha voglia di festeggiare. A causa della pandemia, non abbiamo ancora terminato di registrare il nuovo album. Abbiamo registrato sei canzoni e abbiamo intenzione di registrarne altre. Rientreremo in studio per terminare la registrazione dell’album a luglio. Abbiamo i testi ma abbiamo anche molto lavoro ancora da fare. In aggiunta, il nostro produttore non sarà disponibile fino a luglio. E’ tempo di premere il tasto “reset”. Ci siamo davvero divertiti a fare video, a reinterpretare alcune nostre vecchie canzoni e a fare delle cover. In aggiunta, abbiamo registrato alcuni video ufficiali per i nostri nuovi brani. Abbiamo deciso di pubblicare una nuova canzone ogni mese e penso che potremmo andare avanti in questo modo per sempre. Se pensiamo alla realizzazione di un album, beh, ci metti, ad esempio, un anno per scrivere i testi, poi prenoti lo studio per registrare, diciamo per circa due settimane. Segue il mixing che può durare anche tre o quattro mesi e poi il mastering. Alla fine, quando presenti il prodotto finito alla casa discografica, il risultato è che verrà pubblicato l’anno successivo. Questo significa che il pubblico ascolterà le canzoni due anni dopo che sono state scritte. Ok, le ascoltano per un po’ e poi passano ad altro. A questo si aggiunge l’elemento “emozionale”, cioè l’emozione che trasferisci scrivendo la canzone e che riguarda quel particolare momento. Dopo due anni, potresti anche non provare più le stesse emozioni e potresti addirittura pensare che quei brani non ti rappresentano più. Quando è scoppiata la pandemia, ho pensato che avrei potuto fare qualsiasi cosa semplicemente usando la mia videocamera e il mio computer. Sono consapevole del fatto che, registrando un brano in questo modo, non avrà mai lo stesso suono che avrebbe a fronte di una registrazione in studio ma sono certo che il suono sarebbe comunque buono. Addirittura, alcune persone non saprebbero nemmeno capire la differenza o potrebbero anche amare quelle imperfezioni. In questo modo, però, avrei la certezza di poter pubblicare quel brano anche il giorno dopo, se volessi. Certo, è più difficile con una band, perché in questo caso, ci si deve vedere, provare, pensare a degli arrangiamenti ecc. Credo, comunque, che cercheremo di muoverci in questa direzione, cercando di fare le cose più velocemente. Registreremo i brani più velocemente e pubblicheremo gli album allo stesso modo. E continueremo a farlo. Questo è quello che ci contraddistingue come band: pubblicare ciò che sentiamo nel momento stesso in cui proviamo quelle sensazioni.

Q.: A proposito del nuovo album. C’è qualcosa che puoi anticipare?

B.M.: L’album sta venendo davvero bene. Non siamo abituati ad avere un produttore. Si è sicuramente più vulnerabili quando si porta una persona esterna nel proprio mondo. Abbiamo pubblicato i nostri primi tre album in totale autonomia. Arrivati a questo punto, abbiamo deciso di affidarci a un produttore perché abbiamo pensato che avrebbe potuto darci una mano con le canzoni, dando dei consigli su come rendere il suono migliore o su come modificare delle parti di testo. I produttori, poi, possono davvero aiutare a cambiare il suono, perché ogni produttore ha una propria visione. Il nostro produttore è Greg Holden. Lo abbiamo conosciuto ad un “songwriting camp” in Messico e ci è piaciuto la sua estetica. Così, abbiamo pensato a lui per la produzione del nostro nuovo album. Per prima cosa, è lui stesso un cantautore, per cui è stato davvero incredibile potergli mandare le nostre idee e lavorare con lui alla definizione dei brani, ancor prima di iniziare la registrazione. E’ stato divertente e utile al tempo stesso. Se dovessi registrare un brano direttamente qui a casa mia, con il mio impianto di registrazione, non avrei alcun limite di tempo. Potrei rifarla anche cento volte. E’ utile, invece, avere qualcuno che, ad un certo punto, ti blocca dicendoti: “Va bene. C’è la magia. C’è l’energia giusta. Non toccate più questa canzone”. Non vogliamo la perfezione. Vogliamo qualcosa che suoni bene ma che possa arrivare al pubblico. La musica pop è così semplice da registrare. E’ piena di Auto-Tune e questo rende la voce perfetta perché è il computer a renderla tale. Ed è qualcosa che non saresti mai in grado di replicare dal vivo. E’ come se molte persone volessero davvero sentire la perfezione. Tuttavia, molti non vogliono questo. Vogliono qualcosa di grezzo, emozionale e vogliono la forza e questo indipendente dal fatto che le note siano suonate in modo perfetto.

Q.: Ora torniamo un po’ indietro nel tempo, parlando delle origini di The Brothers Comatose. Come vi siete incontrati e come è nato il nome della band?

B.M.: Mio fratello suona il banjo nella band. Abbiamo fondato la band molti anni fa, nel 2007/2008. Siamo gli unici fratelli all’interno della nostra famiglia e nostra madre è una musicista. Abbiamo deciso di chiedere a dei nostri amici che all’epoca suonavano diversi strumenti musicali di unirsi a noi. Il nostro amico Joe suonava il mandolino e un altro nostro amico il basso. Ci mancava, però, un mandolinista. Avrei voluto mettere un annuncio online ma, in passato, è sempre stato difficile trovare un musicista in questo modo. Allora, ho deciso di utilizzare il vecchio metodo: ho preso un foglio, ho scritto l’annuncio e ho letteralmente tappezzato San Francisco. Nell’annuncio, avevo indicato che tipo di musicista stavamo cercando e per che tipo di band. Ho attaccato uno di questi annunci nei pressi del Conservatorio di San Francisco. E così, poco dopo, si è presentato questo ragazzo di nome Phil. Aveva tutte le caratteristiche di un ragazzo di campagna ma studiava al Conservatorio perché voleva un diploma da violinista classico. Dopo un po’ di tempo, il mandolinista e il bassista hanno lasciato la band e abbiamo reclutato dei nuovi musicisti. Questo nuovo album è il primo che registriamo con questa nuova lineup. E’ divertente perché hanno anche portato dei nuovi strumenti. Il nuovo mandolinista può suonare praticamente qualsiasi strumento: lap steel, chitarra, piano e canta anche davvero molto bene. Tutto a un tratto abbiamo queste nuove opzioni e questo ci ha aperto delle nuove porte.

Il nome della band? Ti ho già detto che mio fratello suona il banjo e lo suona in un modo molto divertente e strano. Quando si fa prendere dalla performance, gira gli occhi all’indietro, come se fosse in coma. Da lì, mi è venuto in mente il nome della band. Probabilmente e inconsciamente, la scelta del nome è anche legata ai “Fratelli Karamazov” (Brothers Karamazov) per il modo in cui l’ho pensato e perché suona davvero molto bene.

Q.: Quando hai iniziato a suonare? E che cosa ti ha portato a scegliere la musica folk/bluegrass?

B.M.: Il nostro legame con la musica folk è nata quando eravamo molto piccoli perché nostra madre faceva parte di una band insieme a dei suoi amici. Erano un gruppo vocale. Io e mio fratello stavamo sempre ad osservarli mentre provavano e questo ci ha di fatto portati ad amare la musica folk. Quando ho chiesto di poter imparare a suonare la chitarra, mi è stato detto di iniziare con la chitarra acustica. Ovviamente, a quel tempo, l’unica cosa che volevo era suonare musica rock ad altissimo volume. Ho, però, iniziato con la chitarra acustica e poi sono passato a quella elettrica. Alle superiori, ho fondato delle rock band. Poi ho pensato che avremmo potuto prendere l’energia del rock ’n’ roll utilizzando strumenti acustici. Non so se hai mai sentito nominare l’Hardly Strictly Bluegrass Festival. E’ un festival incredibile ed è totalmente gratuito. Ci sono circa 500.000 persone ogni anno. Io ho lavorato a quel festival. Ho iniziato lavorando in un locale a SF, lo Slim’s, e i proprietari del locale erano anche gli organizzatori del festival. Così, mi chiesero se avrei voluto lavorare al festival. Ho risposto di sì e mi sono occupato di “backstage hospitality” per gli artisti. In quel modo, ho avuto la possibilità di assistere a dei grandi concerti e ho aperto gli occhi su quel mondo musicale. Quella musica era così piena di energia, con delle armonie incredibili e molti gruppi erano anche composti da membri della stessa famiglia. E questo è ancora meglio, perché persone che appartengono alla stessa famiglia hanno la stessa vocalità, perché hanno lo stesso DNA. Armonizzare diventa molto più semplice. Avevo già iniziato a suonare con mio fratello da diversi anni e, arrivati a quel punto, abbiamo deciso di cambiare direzione musicale e di dedicarci a quella musica, suonandola però in modo più “pesante”, come se fosse rock ’n’ roll. Abbiamo trovato tantissima ispirazione a quel festival.

Q.: Sei cresciuto nel quartiere di Haight-Ashbury a San Francisco, un luogo pieno di storia legata proprio alla musica e la città di San Francisco è spesso citata nei vostri brani e rappresentata nei vostri video. Come è stato crescere in quella città e quanto è cambiata da allora?

B.M.: Quando è esplosa la “bolla della new economy”, le case, sia in affitto che in vendita, erano davvero convenienti. Quando mi sono trasferito, ad esempio, pagavo 400 dollari per questa stanza bellissima in uno stabile in stile vittoriano. Si stava davvero bene in quel periodo e molti musicisti si erano trasferiti in città. C’era davvero un bel fermento musicale: indie rock, folk e, ovviamente, la psichedelia. Era un momento davvero magico. Si suonava continuamente ed era davvero divertente. Poi, ad un certo punto, gli affitti hanno iniziato a lievitare finché, circa sei anni fa, ci hanno letteralmente buttati fuori di casa per poter aumentare l’affitto della casa. Non voglio lamentarmi. Questo mi ha permesso di trasferirmi e di iniziare a convivere con quella che allora era la mia ragazza (oggi è mia moglie). Le nostre vite stavano cambiando. Ci siamo trasferiti a Oakland, così come tanti altri musicisti. Altri si sono trasferiti in città come Los Angeles o Nashville. E’ stato triste, perché San Francisco non era più una “città musicale”. Oggi è una “tech town” ed è davvero difficile per i musicisti sopravvivere perché gli affitti continuano a salire. D’altra parte, se non c’è una comunità di musicisti, di artisti, anche nel caso in cui tu possa permetterti di affittare una casa, ti sentiresti un po’ stupido, perché non troveresti nessuno con cui condividere le tue idee, la tua arte e con cui entrare in contatto. Semplicemente, non c’è più una scena musicale. Certo, ci sono ancora dei musicisti ma quella scena frizzante che era tipica della città è totalmente sparita. Spero che un giorno possa tornare. Con la pandemia, le persone hanno capito che possono tranquillamente lavorare da casa e questo ha portato ad una riduzione degli affitti. Tuttavia, non saprei dire se si siano ridotti a tal punto da riportare tanti musicisti in città Spero davvero che San Francisco possa rifiorire come hub musicale. E’ una così bella città e porta con sé anche tanta storia. 

Q.: Vorrei ora parlare di concerti. The Brothers Comatose è una band “on the road”. Avete suonato praticamente in tutti gli Stati Uniti, ma anche in Canada e in Australia. Avete anche creato un vostro festival, Comatopia. Quanto è importante per voi suonare dal vivo e quanto vi è mancato durante il periodo di lockdwon?

B.M.: Sì, Comatopia. Stavamo progettando di riproporlo lo scorso anno ma poi abbiamo dovuto cancellarlo a causa della pandemia. Stavamo pensando di rifarlo quest’anno ma è ancora troppo difficile pensare di programmare qualsiasi cosa. Sicuramente lo rifaremo. E’ un festival davvero divertente. Non vedo l’ora di ricominciare ad andare in tour. C’è così tanto da vedere e ci sono delle persone così interessanti da conoscere. Sono decisamente una persona socievole. Mi piace stare a contatto con le persone. Abbiamo un primo show tra un mese. E’ incredibile vedere il modo in cui le cose si stanno evolvendo in giro per il mondo.

Q.: Come è stato suonare all’interno di un ascensore?

B.M.: Quando riguardo quei video penso che sia stata davvero una cosa da pazzi. E’ stato incredibile. Ci siamo divertiti tantissimo. Le porte dell’ascensore si aprivano e le persone erano scioccate. Si chiedevano: “C’è davvero una band in questo ascensore?” Alcuni era davvero divertiti e altri aspettavano semplicemente l’ascensore successivo. Spero di poterlo fare ancora.

Io: E siete riusciti anche a fare sold out al Fillmore. Potete dire di aver suonato davvero ovunque!

B.M.: Sì, abbiamo fatto sold out al Fillmore e abbiamo fatto sold out in ascensore!

Q.: A Maggio 2012 avete pubblicato un album intitolato “Respect the Van”. All’interno c’è una bellissima canzone, “Morning Time”, un duetto con Nicki Bluhm, un’artista che io personalmente adoro. Come è stato collaborare con lei?

B.M.: E’ la migliore! Ci siamo conosciuti molto tempo fa. Avevo scritto quella canzone e mi era venuta l’dea di trasformarla in un duetto. Non avevo, però, idea di chi avrebbe interpretato la parte femminile. Poi, ci è capitato di suonare ad un festival, ho sentito questa voce e ho pensato che fosse perfetta per il brano. Ho chiesto ad alcuni amici in comune di presentarci e lei ha subito accettato. Dopo aver registrato la canzone con noi, Nicki ha pubblicato un video di un altro brano ed è diventata abbastanza famosa. Lei e la sua band ci hanno chiesto di andare in tour con loro, aprendo i loro concerti. Abbiamo continuato a collaborare nel corso degli anni ed è nata anche una bella amicizia.

Q.: Ho conosciuto The Brothers Comatose grazie alla vostra cover di “I Want It That Way” dei Backstreet Boys. Da lì ho scoperto che vi piace moltissimo fare delle cover. Anzi avete fatto cover di brani e artisti tra i più diversi: Amy Winehouse, Depeche Mode, Temple of the Dog, Hank Williams, Janis Joplin ecc. Chi sceglie i brani?

B.M.: E’ una bella domanda. Solitamente chi canterà sceglie il brano. Fare cover è davvero molto divertente. Ad alcuni artisti non piace ma noi ci divertiamo tantissimo. Ho sempre voglia di cantare canzoni che mi piacciono. Solitamente siamo io o mio fratello a scegliere i brani perché siamo anche i cantanti all’interno della band. A volte anche gli altri ci suggeriscono dei brani e se pensiamo che possano andare bene allora andiamo avanti e ne facciamo una cover.

Q.: Ad Agosto 2019 hai pubblicato un album da solista, “Old Technology”. I brani sono davvero molto diversi dallo stile della band. Come mai hai deciso di intraprendere anche una carriera da solista? Pensi di continuare?

B.M.: Non saprei. So solo che mi piace fare musica e voglio farne quanta più possibile. La ragione per cui ho pubblicato quell’album sta nel fatto che la musica che solitamente facciamo appartiene ad un genere ben specifico. A volte scrivo delle canzoni che non vanno bene per la band. Ho sempre un po’ di canzoni che tengo per me. In quel periodo, la band stava attraversando un po’ di cambiamenti. Eravamo sempre in tour e, alla fine, due membri hanno deciso di mollare in quanto non ce la facevano davvero più a reggere quei ritmi. Sentivo di aver bisogno di fare un passo indietro a concentrarmi su qualcosa di diverso. The Brothers Comatose era stato tutto il mio mondo per un lunghissimo periodo. Praticamente era il mio mondo. Quando ero alle superiori avevo fondato una rock band e, onestamente, anche il rock ha sempre rappresentato una parte di me. Ho solo voluto provare a fare qualcosa di diverso, suonando con un batterista, una chitarra, senza che nessuno debba preoccuparsi se sia presente anche un banjo oppure no. E’ stato divertente. Sarei anche dovuto andare in tour ma, poi, tutto ad un tratto, mi sono nuovamente ritrovato da solo, nella mia stanza, a suonare la chitarra acustica. Ne ho anche approfittato per fare musica con mia moglie e per registrare dei brani con lei. Anche lei è parte di una band tutta femminile, le T Sisters, che ha fondato insieme alle sue due sorelle. Durante quest’ultimo anno abbiamo collaborato tantissimo. Pubblicheremo anche un album con la nostra band. L’abbiamo chiamata “Terrier”. Voglio solo fare musica. Amerò sempre The Brothers Comatose e non mi allontanerò dalla band, ma ci sarà anche sempre altro.

Scopri di più:
Website
Facebook
Instagram
YouTube
TikTok
Spotify

Print Friendly, PDF & Email