Il tempo dei dischi e delle feste.

(Elena Aguzzi)

Quando ho letto il libro di Guido CollettiLa musica dei ricordi” non ho potuto evitare il classico “tuffo nel passato” : chi non ha una colonna sonora che segna la sua infanzia e la sua adolescenza?

Per la mia generazione (classe 1964, per intenderci) la prima infanzia è scandita dalle note dello Zecchino d’Oro; le elementari erano accompagnate dai vari Battisti-Baglioni-De Gregori (ma, essendo l’ultimogenita, mi capitava di ascoltare anche musica più “dura”: Neil Young, Black Sabbath, Creedence Clearwater Revival, Hotlegs…); le medie proseguivano al suono della prima disco music (Donna Summer, Beegees, Barry White, Abba, Boney M. ) e finalmente, nella seconda adolescenza, giunsero le prime scelte ponderate (nel mio caso si trattò di recuperare quella musica degli anni ’60 che mi ero persa per infantilismo, tipo Beatles e Dylan per intenderci, oltre che di coltivare i rocker del tempo: Police, U2, Springsteen, Bryan Adams, Queen, Simple Minds, Peter Gabriel, Vasco Rossi), accompagnate però dallo sfondo magico della mitica musica “anni ‘80”, Duran Duran e Spandau Ballet in primis.
Differenze di gusti o di lustri possono cambiare le note di sfondo, ma una cosa penso che non cambi, per chiunque sia nato tra il 1950 e il 1975: il luogo dove si ascoltava quella musica. Oggi, l’ascolto di un disco è un’esperienza solitaria: scarichi da internet e ti fai il cd, o compri lo stesso, poi infili l’auricolare e l’ascolti. Fine. Se va bene, ma proprio proprio bene, ascolti i brani con mezzo auricolare, e l’altro mezzo lo passi al tuo amico del cuore e ascoltate i brani insieme.

Negli anni ’60-’70-’80 no, si andava a casa degli amici e si ascoltava la musica in compagnia. “Ho il nuovo album dei Pink Floyd, venite da me a sentirlo?”. E quel sentirlo insieme accresceva il valore del disco e dell’amicizia. In estate capitava che uno portava con sé il mangiadischi (oggetto ormai di culto) o il mangiacassette e la compagnia usufruiva all’aperto di quella musica, con licenza di cantare insieme e ballare (cosa che, naturalmente, potevi anche fare nella stanza da letto, ma che in spiaggia o in piscina non comportava alcun richiamo da parte dei genitori esasperati dagli schiamazzi). Sono anni che nessuno mi invita più ad ascoltare un disco a casa sua, praticamente da quando sono scomparsi i giradischi: chissà perché i cd vanno, al massimo, messi di sfondo a una conversazione, eppure la musica è la stessa che si ascolta su vinile, no?

Poi c’erano le feste. Per antonomasia sono chiamate “feste del liceo”, anche se nessuno magari andava al liceo, perché l’età media di chi partecipava alle feste oscillava tra i 13 e i 19 anni. Generalmente si tenevano in un garage addobbato con poster alle pareti (soggetti: cantanti rock, paesaggi con cavalli e spiagge al tramonto, Che Guevara, foglia di coca; se poi chi dava la festa era un maschio c’era anche una donna a seno nudo e una ferrari, se era una ragazza c’era qualche attore o cantante pop del momento col ciuffo bagnato di gel e lo sguardo tenebroso; a volte, apparivano soggetti non molto adatti a degli outsider, tipo Snoopy o addirittura cuccioli di cane), ma qualcuno si avventurava nel salotto buono. Musica a palla, globo luminoso al soffitto, coca cola e panini, sigaretta fumata in segreto come fosse uno spinello. Si ballava, soprattutto i “lenti”, ma si giocava, anche: il gioco della bottiglia, il ballo della scopa, indovina l’assassino e altri più maliziosi, il cui fine principale era quello di baciare il tizio o la tizia di turno. Dopo, con le amiche, facevi l’elenco dei ragazzi con cui avevi “limonato”, e per il più carino, potevi giurarci, c’era una canzone che ti ricordava quel bacio o quel ballo fatale.

Infine, c’erano le discoteche. Personalmente non le ho mai amate, nemmeno quando non erano dei luoghi di puro stordimento, ma comunque c’erano. La discoteca era un rito: prendevi appuntamento con gli amici, ti vestivi in modo diverso…e dopo poco magari volevi andartene assordata dalla musica, che non ti piaceva, o delusa perché non c’era nessuno che ti piacesse con cui ballare, o schifata perché i divani erano sporchi e l’ambiente squallido. Però era pur sempre un luogo in cui ascoltare la musica insieme, aspettando con ansia quel brano che preferivate sugli altri e che a tarda notte, rientrando a casa, si andava ancora a cercare sulla radio.

Avete notato? Oggi che tutti ascoltiamo la musica solipsisticamente, quando, al bar o addirittura al supermercato, ci capita di sentire una radio che trasmette un vecchio brano interrompiamo la conversazione o qualunque cosa stiamo facendo e ci abbandoniamo a un “oooh” carico di nostalgia, al quale il nostro vicino, per quanto sconosciuto, risponde con lo stesso gemito. Sicuro che stiamo pensando entrambi alla stessa cosa: al nostro passato, e a quel giorno in cui abbiamo sentito per la prima volta quel brano, a casa di amici.

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