Il debutto blues della Allman Brothers Band

(Maurizio Galli – 8 settembre 2019)

Gli Allman Brothers Band negli anni settanta sono stati l’espressione più influente e originale della musica americana. Per arrivare fino a quel punto la band dei fratelli Allman ha saputo posare le fondamenta nel blues di Willie Dixon, Muddy Waters e Sonny Boy Williamson incamerando al contempo gli esperimenti jazzistici di John Coltrane e Miles Davis.

Il primo omonimo album della Allman Brothers Band (ATCO Records, SD 33-308, USA, 1969) venne registrato nel mese di settembre (1969) a New York City presso gli Atlantic Recording Studios in collaborazione con l’etichetta ATCO – in quel periodo non era ancora decollato il progetto Capricorn Records di Phil Walden – sussidiaria della Atlantic Recording Corp. La maggior parte del materiale presente la band lo aveva già stato ampiamente rodato dal vivo in pubblico.

Nonostante le forti aspettative (la band entrò in studio il mese successivo al Festival di Woodstook e l’album venne pubblicato a novembre), le copie vendute nel primo periodo non andarono oltre le 30.000; può sembrare un grosso quantitativo ai giorni d’oggi ma non dimentichiamo che i volumi in quegli anni erano ben altri. C’era insomma odore di flop.

Prima di mettere sul piatto il disco bisogna aver ben chiaro che non bisogna aspettarsi i classici dettami del southern-rock a cui siamo stati abituati ascoltando la band di Macon (Georgia), qui la band si trova ancora in stato embrionale e il disco, prodotto da Adrian Barber (l’idea iniziale era di entrare in studio con Tom Dowd che precedentemente aveva lavorato con Cream e John Coltrane), ha il classico forte odore di acque limacciose.

A dominare il sound però ci sono già alcune di quelle certezze che troveremo anche nei lavori successivi: le improvvisazioni delle due chitarre (Duane Allman e Dick Betts) che si rincorrono, si sfidano, dialogano e finiscono per suonare all’unisono, una sezione ritmica serrata e metronomica che deve parte della sua forza nelle due batterie (Butch Trucks e Jai Johanny Johanson) ed infine il granitico basso di Berry Oakley, una assoluta sicurezza.

Ancora oggi il tirare fuori l’LP dalla sua custodia ha il suo fascino, ancor di più se si ha tra le mani un disco, il primo, della Allman Brothers Band. Ad aprire le danze ci pensa la cover del pezzo rhythm’n’blues pubblicato due anni prima dallo Spencer Davis Group, Don’t Want You No More. A tal proposito mi sono sempre chiesto il perchè di tale scelta, che ne pensate?  Segue il primo brano autografo, It’s Not My Cross To Bear e qui la band da un primo assaggio della cifra stilistica di cui sono capaci quando entrano a stretto contatto con la musica del diavolo. Come accennavamo poco sopra l’album è pregno di blues e di conseguenza non ci fanno mancare un omaggio ad uno dei più grandi bluesman americani, McKinley Morganfield per tutti semplicemente Muddy Waters con la sua Trouble No More. Come è facile immaginare la parte del leone in questo brano la fa la chitarra elettrica suonata con lo slide da Duane Allman che è capace di donare nuova vita al brano del 1955.

A questo punto non ci resta che alzarci dal divano e, con ancora le orecchie frastornate e lo sguardo godurioso, sollevare il braccio del giradischi, mettere il lato B del disco, abbassare il braccio e continuare il viaggio estàtico intrapreso.

Il lato B si apre con i quattro minuti e tredici di Every Hungry Woman con il caratterizzante riff di chitarre all’unisono che segue l’intro di slide. A parere di chi scrive nella parte centrale del pezzo ci troviamo dinanzi ad un vero e porprio cadeaux, l’incalzante dialogo chitarristico tra sua maestà la chitarra di Allman e quella di Betts. Tenete ben a mente quei passaggi perché saranno un riferimento nel futuro sound della band. A seguire ancora due capolavori, sette minuti e quindici secondi di sognante Dreams e l’ipnotica e a tratti psichedelica Whipping Post. Non a caso Whipping Post è stata inserita (insieme a Ramblin’ Man) tra le 500 migliori composizioni rock di tutti i tempi secondo i membri della prestigiosa Rock and roll Hall of Fame Foundation. Un plauso va sicuramente anche a Greg Allman organo (Hammond) e voce della band.

La foto di copertina per l’album venne scattata dal fotografo Stephen Paley, conosciuto durante delle sedute fotografiche per la Atlantic. Entrambe le foto vennero scattate a Macon, la prima vicino all’entrata del College House al 315 di College Street mentre quella sul retro presso la Bond Tomb nel Rose Hill Cemetery, al 1091 di Riverside Drive. All’interno dell’album è invece presente la famosa foto che mostra i membri della band che posano nudi in un ruscello.

In estrema sintesi UN DISCO DA AVERE. Alla via così.

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