Iconic – Second Skin

Ci sono album riguardo ai quali è sufficiente leggere i nomi dei protagonisti coinvolti per capire subito, e senza il minimo rischio di errore, dove si andrà a parare…

E quando nella back cover di questo Second Skin, debutto dei neonati Iconic, si leggono nomi quali quelli di Nathan James, vocals, Michael Sweet, guitars and vocals, Joel Hoekstra, guitars, Marco Mendoza, bass e Tommy Aldridge, drums, ai quali si aggiunge quello di Alessandro Del Vecchio, keyboards and backing vocals ma soprattutto produttore, e vero e proprio mastermind dell’etichetta Frontiers Records, colui che ha di fatto messo in contatto i cinque protagonisti, ciò che si troverà all’interno delle undici tracce sarà, assolutamente ed inevitabilmente, un caleidoscopio di rock a base di chitarre, rigorosamente targato eighties.

Inglorious, Stryper, Whitesnake, Trans-Siberian Orchestra, The Dead Daisies, Thin Lizzy, Black Star Riders, Ted Nugent, Black Oak Arkansas, Pat Travers Band, Ozzy Osbourne, Gary Moore, Vinnie Moore, Yngwie Malmsteen… con un background di questo genere va da sé che, quando partono, potenti, le prime note di Run (As Fast As You Can) la macchina del tempo inizia a correre furiosamente all’indietro, per posizionarsi in quel decennio, gli anni ’80, che hanno avuto da sempre un destino più che controverso: per alcuni sono stati un decennio musicalmente quasi dannoso, dieci anni spesso definiti “plasticosi”, per altri invece sono stati un periodo in cui le novità, numerosissime, si sono rincorse in maniera talmente travolgente da creare più che altro dei grossi problemi nel riuscire a “starci dietro”.

Possiamo chiamare gli Iconic un supergruppo, senza alcun problema, perché di questo in fondo si tratta: cinque musicisti non solo navigatissimi, ma con un’identità ed uno stile precisi, riconoscibili e consolidati, legati a radici robuste e profonde da cui sono nati quei numerosi e differenti generi che hanno letteralmente fatto la storia, nell’ambito della musica hard rock ed heavy metal.

Sound caldo, quindi, che prende il volo come detto dal brano di apertura, e si stabilizza “in quota” con Ready for Your Love, mid-tempo classico, che più classico non si può: le chitarre di Sweet ed Hoekstra si muovono come nel più intramontabile degli schemi dell’hard rock ottantiano, mentre Aldridge, letteralmente tellurico, e Mendoza, che lavora spesso di fino, formano una sezione ritmica potente, dinamica, capace di accelerazioni e break gestiti con un timing tanto preciso quanto spontaneo e naturale.

E’ sufficiente arrivare al terzo brano, la title track Second Skin, per capire che una lezione così profondamente assorbita negli anni, non può che marchiare un musicista per tutta la propria carriera: incroci vocali intensi, duelli chitarristici fluidi, ed un senso di divertimento che traspare da ogni nota; soprattutto nei passaggi più lenti e melodici, il pedaggio che si paga ai Whitesnake di David Coverdale è chiaro, mai nascosto, anzi, diventa quasi un punto d’onore per chi, con quel genere musicale, ci è cresciuto ed ha a che fare (ad esempio Hoekstra ed Aldridge) ancora oggi.

Da non sottovalutare inoltre la figura di Alessandro Del Vecchio, vero e proprio direttore musicale del progetto e che, oltre a coordinare il lavoro di arrangiamento, si è occupato di “legare” il suono complessivo con tastiere mai invadenti, sempre molto azzeccate per i timbri ed i patterns utilizzati.

All I Need è la ballatona che, a questo punto del lavoro, era non solo inevitabile ma quasi imprescindibile: James, che sino ad ora aveva duettato con Sweet nei brani più veloci, si prende uno spazio per sé e dimostra che, pur appartenendo ad una, anzi a più generazioni successive rispetto a quelle dei suoi colleghi, ha trovato con essi una totale sintonia artistica: in Nowhere To Run gli incroci vocali si susseguono a ritmi forsennati, sostenuti da una ritmica devastante per grinta, spessore e consistenza; Hoekstra, poi, distilla break solisti con sapienza e certosina meticolosità, ovviamente senza mai strafare perché l’esperienza porta con sé anche una certa dose di saggezza.

Il secondo momento soft, per non dire “piacione” dell’album, si concretizza grazie a Worlds Apart, altra ballad intrisa di echi ottantiani: ci stà, assolutamente, perché gli Iconic giocano, e lo fanno da subito, a carte scoperte, non cercando di mimetizzare il loro approccio dietro a più o meno velate presunte novità; un gusto classico, arrangiamenti curati, un suono limpido e definito, ma la sensazione che, nei fatti, non ci sia sotto una iperproduzione, nulla di eccessivo o di troppo patinato, nulla che non possa essere riproposto dal vivo, da parte di una band che sembra nata apposta per il rock da stadio, per i cori, per gli accendini… pardon, gli smartphones accesi, e per un pogo non certo eccessivo o violento, ma che crei davvero divertimento e coesione.

Certo, non sarà facile coniugare un’eventuale attività dal vivo con gli impegni di James insieme ai suoi Inglorious, di Hoekstra con il Final Tour dei Whitesnake e di Sweet con gli Stryper, impegni ai quali vanno aggiunte la densa attività solista di Mendoza e la sempre corposa attività di Aldridge come session man, ma sarebbe davvero una gran cosa poter ascoltare la band fare ondeggiare il pubblico al ritmo morbido di All About, This Way o Let You Go, veri e sinceri omaggi alla band del serpente bianco, o farlo scatenare sulle note anthemiche di It Ain’t Over ed Enough of Your Love, i brani che chiudono una seconda facciata che trasmette un mood nostalgico ma pieno di energia, per un tuffo nel passato che tutto sommato fa bene, e riconcilia tanti metallari della prima ora con il loro lato più romantico, quello che già all’epoca andava a sfiorare il classic rock, l’hair metal, il glam rock quando non addirittura l’AOR.

Hard rock con una spruzzata di blues, capelli lunghi, dress code rigorosamente in cuoio e pelle, amplificatori a tavoletta, tanto sentimento ma anche una professionalità indiscutibile, in grado di produrre un lavoro qualitativamente ineccepibile.

Nessuna novità come detto, ma solide certezze ed un amore sviscerato per una tradizione che, periodicamente, riappare e riaccende vecchie passioni mai sopite.

(Frontiers Records, 2022)

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