Help Yourself – Passing Through-The Complete Studio Recordings

(Andrea Romeo)

Scriveva nel 1971 John Mendelsohn, giornalista di Rolling Stone, in occasione dell’uscita del primo album degli Help Yourself: “Help yourself is uniformly delightful. Malcolm Morley sounds more like Neil Young than Neil Young does. If your ears are shaped like mine, you’ll adore Help Yourself’s shimmering, cristalline guitar sound so reminiscent of the first Springfield album, against which Help Yourself stacks up very well.” Un debutto vincente, dunque, critica entusiasta e quindi le porte del successo spalancate davanti a sé… ebbene no, in realtà nulla di tutto ciò.

Per il gruppo, nato a Londra nel 1970 come backing band del cantante Malcolm Morley, e che avrebbe proposto di lì a poco un sound decisamente americano, ricco di suggestioni west-coast, di riferimenti al country, di virate psichedeliche e di suoni “acidi”, la strada sarebbe stata, oltre che breve, decisamente avara di soddisfazioni.

Morley, affiancato da Dave Charles, già membro dei Sam Apple Pie, batteria, percussioni, voci, dall’ex membro della Monday Morning Glory Band, Richard Treece, chitarre, voci, armonica e dal bassista dei Growth, Ken Whaley, mise subito le carte in tavola portando immediatamente l’album in tour.

Da qui in poi una girandola di cambi che avrebbe accompagnato la band lungo i tre anni della propria esistenza: Whaley lasciò, arrivarono Ernie Graham e Jonathan “Jojo” Glemser alle chitarre, mentre Treece si spostò al basso; parteciparono al Glastonbury Festival, ad un tour in Svizzera insieme ai Man ed iniziarono a registrare il secondo album, Strange Affair, con Treece prima al basso, poi di nuovo alle chitarre, sostituito dal roadie Paul Burton: terminate le registrazioni, Graham e Glemser abbandonarono la band, che tornò quindi ad essere un quartetto.

Dopo una apparizione alle Peel Session, nel 1972, misero mano al terzo lavoro, Beware The Shadow aiutati da Sean Tyla, voce e chitarre quando, un’improvvisa crisi depressiva di Morley, rischiò di chiudere anzitempo la loro carriera: li salvò Deke Leonard dei Man, che sostituì Morley; malgrado avesse all’attivo tre ottimi album in soli due anni e nonostante un’intensa attività live, la band non riuscì a decollare, rimanendo coinvolta, o per meglio dire invischiata, nell’ambito di una scena locale che si rivelò tanto vivace, quanto limitata, dal punto di vista dei riscontri commerciali.

Ebbero anche un discreto successo negli States, malgrado non vi siano mai stati in tour, ed insieme a B.J. Cole ed a Leonard apparvero su Christmas at the Patti, doppio album live registrato dai Man al Patti Pavilion di Swansea, il 19 Dicembre del 1972.

Iniziarono a lavorare per un quarto album quando Burton, insoddisfatto per la proposta di un tour teatrale, abbandonò favorendo il rientro di Whaley: dopo l’Happy Days Tour, durato un paio di mesi, pubblicarono The Return of Ken Whaley, cui abbinarono Happy Days, lavoro in cui apparvero anche Vivian “Spiv” Morris, voce, Martin Ace e George Ace, chitarre e voce, ovvero i Flying Aces, tutti artisti con i quali avevano condiviso il palco, agli inizi del 1973, insieme a Roger Ruskin Spear polistrumentista e membro della Bonzo Dog Doo-Dah Band.

Nonostante i riscontri non certo gratificanti dei loro lavori in studio, la United Artist propose loro di registrare un altro disco, che sarebbe stato poi intitolato 5, dalla vicenda davvero curiosa: le otto tracce registrate insieme a Tyla ed a Leonard rimasero nel cassetto per oltre una trentina d’anni fino a che Morley, spinto dalle richieste dei fans, decise di recuperarle, aggiungendone altre tre e completando infine l’album tra il 2003 ed il 2004 insieme a Treece, a Whaley, ed a Kevin Spacey alla batteria.

Si era dunque alla fine del 1973 quando gli Help Yourself terminarono la loro breve esperienza musicale, scomparendo dalle scene per ben tre decenni.

Le tracce lasciate non furono però così evanescenti, anzi, si venne a creare intorno al loro nome una sorta di piccola leggenda; il leader, Malcolm Morley, proseguì la carriera suonando prima nei Bees Make Honey, che contribuirono a lanciare il primissimo “pub rock”, poi negli Iceberg di Leonard, apparve anche nell’album dei Man Rhinos, Winos and Lunatics, uscito nel 1974, dopodichè collaborò saltuariamente, nell’ambito di alcune produzioni, durante gli anni ’80 e ’90.

Poco prima di completare il quinto lavoro Morley recuperò anche un altro album fantasma, rimasto inedito ed intitolato non a caso Lost and Found, registrato nel 1976 insieme a Ian Gomm, chitarre, voce e basso, nominato Best Rhythm Guitarist dal NME nel 1971 e che, nel 1978, scalò le classifiche con il singolo Hold On, Keith Gotheridge, batteria, Darryl Hunt, basso, Richard Booth, Duncan Kerr ed Harry Stephenson alle chitarre; questo lavoro, insieme ai cinque degli Help Yourself offre, nel cofanetto, l’intera produzione discografica della band, cui si aggiungono alcune registrazioni dal vivo, tratte dalle BBC Radio One Bob Harris Session del 10 Aprile, 1972 e dall’album Christmas at the Patti, ed alcune bonus tracks e demo, sempre risalenti al triennio ’71-’73, il tutto… “Dedicated to, and in memory, of Richard Treece, Ken Whaley, Deke Leonard, Jo-Jo Glemser, Ernie Graham and Sean Tyla…

Riascoltando questi lavori rimane da capire come mai una band che, non solo tecnicamente, ma anche dal punto di vista compositivo ed esecutivo, non aveva davvero nulla da invidiare a molte altre coeve, non sia assolutamente riuscita a raccogliere quanto seminato, dal punto di vista commerciale, oltretutto in pochissimo tempo e nonostante una critica che li aveva ampiamente sostenuti sin dal debutto; quasi ignorati ai tempi, letteralmente dimenticati nei decenni successivi, oggi gli Help Yourself vengono considerati senza dubbio alcuno tra i padri nobili del rock inglese.

Sintetizzarono l’attitudine alle jam sessions, di chiara derivazione californiana, con il nascente pub-rock inglese, di cui furono tra i principali anticipatori, attraversando folk, country, blues e rock psichedelico: non furono quindi assimilabili ad un genere definito e fu proprio questo approccio, forse, il grandissimo limite che, in un periodo di notevole abbondanza musicale, li relegò inevitabilmente in un angolo.

(Esoteric Recordings/Cherry Red Records, 2021)

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