Groundhogs – Blues Obituary

Il sottobosco del British Blues è davvero un intrico nel quale spesso risulta molto difficile raccapezzarsi perché, dietro ad ogni svolta, si svelano nuovi dettagli, nuove suggestioni, ma soprattutto si scopre la presenza di numerosi soggetti musicali che, ad onta del fatto di essere relativamente, quando non del tutto, sconosciuti, hanno contribuito fattivamente a consolidarne le basi.

E’ il caso di una band nata come The Dollar Bills a Londra, nel 1962, grazie ai fratelli Pete e John Cruickshank ai quali si unì quasi immediatamente Tony “Reverend” McPhee, chitarrista degli Shenuals che indirizzò risolutamente la band verso il blues: il loro nome definitivo tra l’altro, Groundhogs, deriva non casualmente dal brano Groundhog’s Blues di John Lee Hooker.

Nell’underground londinese il loro nome inizia a circolare molto presto: nel 1964 accompagnano proprio Hooker nel tour inglese sostituendo John Mayall, poi affiancano nei loro concerti in Gran Bretagna Little WalterJimmy Reed e Champion Jack Dupree, nel 1965 registrano un singolo, Shake It, poi un album ancora con Hooker, Hooker & The Hogs, dopodichè si eclissano per tre anni.

Nel 1969 tornano alla ribalta pubblicando il primo album a loro nome, Scratchin’ the Surface: insieme a McPhee, voce, chitarra, Mellotron ed harmonium, che inoltre compone parecchi brani presenti, ci sono Pete Cruickshank al basso, Ken Pustelnik, che ha sostituito John Cruickshank, alla batteria, e Steve Rye all’armonica.

L’album viene considerato una sorta di pietra miliare, nell’ambito del British Blues Revival, ed al suo interno brillano, tra le altre, Still a Fool, cover di Muddy Waters, l’eccellente Early in the Morning ed il dirty boogie di Walking Blues, tutti brani che li avvicinano lentamente verso il sound degli anni ’70.

Quello che verrà invece considerato il vero suono dei Groundhogs si inizia a palesare grazie all’album successivo, che dividerà in modo netto i critici per cui alcuni, diciamo i puristi, li considereranno troppo hard per essere associati al British Blues di fine anni ’60, mentre per altri saranno uno dei primi gruppi a fare un chiaro passo in avanti nel superare il concetto di revival: Blues Obituary, che esce nel Settembre del 1969, è la risposta netta della band, che torna ad essere un power trio, rinunciando all’armonica di Rye e spostandosi nettamente verso un suono prossimo all’hard rock.

La copertina dell’album è, in questo senso, illuminante: i tre musicisti, di fronte ad un austero edificio medievale ed abbigliati in modo solenne, celebrano il funerale del blues trasportando una cassa che contiene le spoglie di una chitarra acustica: un preciso segnale verso chi azzardava ipotesi sulla loro collocazione musicale.

Da Londra è transitata la meteora Jimi Hendrix, ed il blues britannico non è stato più lo stesso, i Cream sono già nella fase finale della loro breve epopea mentre l’hard rock, attraverso i gruppi che ne definiranno i confini, Deep PurpleLed ZeppelinBlack Sabbath, bussa alle porte: il trio fa proprie queste istanze realizzando un album che indica la transizione dal decennio precedente a quello successivo, e lo fanno grazie a sette brani che rappresentano altrettanti punti fermi di questo percorso.

L’apertura di B.D.D. è il primo tassello, un blues veloce, in cui si notano variazioni rilevanti quali le linee di basso e batteria, più elaborate e dinamiche rispetto a quelle definibili classiche, ed un McPhee che inizia a spostarsi verso un suono più psichedelico: la successiva Daze Of The Weak è brano profondamente hendrixiano, lontano dalle distorsioni hard ma totalmente immerso in un universo lisergico che rappresenta un’evoluzione rispetto al decennio precedente.

Anche i vaghi accenni southern rock con cui si apre Times indicano che il transito verso nuove sonorità è in pieno corso: Cruickshank disegna linee di basso elaborate, parallele a quelle della chitarra di McPhee che, pur non eccedendo in virtuosismi si ritaglia spazi solisti cui alterna un cantato scuro e viscerale; questa elaborazione raggiunge il risultato più interessante nella successiva Mistreated che, nonostante suoni relativamente puliti, rappresenta un ulteriore passo verso l’hard rock nelle sue forme più embrionali.

Sulla stessa lunghezza d’onda, malgrado un’impostazione certamente più classica, si trova Express Man, forse l’ultimo punto di contatto con il repertorio precedente della band, che appare davvero distante se rapportato ai due brani che chiudono questo lavoro: Natchez Burning è un blues lento, di chiarissimo stampo hendrixiano anche nel cantato sofferto e cupo, a significare sino a che punto il passaggio in terra albionica del chitarrista di Seattle abbia lasciato segni indelebili, un brano in cui il chitarrista ad un certo punto si lascia andare a svisate sempre più brucianti.

La conclusiva Light Was the Day è senz’altro il pezzo più singolare dell’intero lavoro, una torrida esplosione psichedelica, sette minuti di intensa ed allucinata cavalcata lisergica condotta all’insegna della totale libertà di improvvisazione, giocando con effetti sonori che, seppur agli inizi, già prefigurano interessanti sviluppi futuri.

Blues Obituary non è considerato tra gli album più influenti dell’epoca perché manca del brano simbolo, di quella hit che probabilmente lo avrebbe messo in condizione di essere visto sotto una luce differente: questa è tra l’altro la caratteristica che accomuna parecchi gruppi appartenenti al succitato sottobosco del British Blues, di cui hanno costituito il sostrato, la solida base sulla quale altre band, dotate di maggiori punti di forza, sono fiorite di lì a poco e si sono poi imposte al grande pubblico.

I Groundhogs svolteranno definitivamente verso l’hard rock con i successivi Thank Christ for the BombSplit e Who Will Save the World? The Mighty Groundhogs, dopodichè proseguiranno una lunghissima carriera, modificando più volte la lineup e diradando le uscite discografiche che, dalla fine degli anni ’90, saranno principalmente riferite ad esibizioni dal vivo: l’indomito Tony “Reverend” McPhee, quasi ottantenne e con più di qualche problema di salute, è ancora alla loro guida.

(Liberty Records/EMI Records, 1969)

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