Londra, 1968: in principio furono i Black Cat Bones, con un giovane chitarrista di belle speranze ed un brillante batterista che iniziavano a fare capolino nella scena blues britannica: Paul Kossoffarrivava da Hampstead, Simon Kirke dal quartiere londinese di Lambeth ed il mondo avrebbe presto sentito parlare di loro, così come si sarebbe appuntato il nome di un giovane cantante dalla profonda voce black, nato a Middlesbrough, che si esibiva con i suoi Brown Sugar: Paul Rodgers.
Il quarto elemento, che permise al gruppo di decollare, fu individuato nel sedicenne bassista di Paddington, padre scozzese e madre della Guyana Britannica, Andrew McIan Fraser che aveva iniziato con il piano a cinque anni, passando poi alla chitarra, suonando brevemente insieme a John Mayall su consiglio di Alexis Korner, grazie al quale poco tempo dopo entrò a far parte come bassista, dei neonati Free.
I quattro, malgrado la giovanissima età, mostrano subito grinta ma soprattutto estrema padronanza del palco, attirando uno zoccolo duro di fans all’interno dei club londinesi in cui si esibivano: nel giro di tre anni, dopo aver firmato con l’etichetta Island Records, pubblicarono il disco d’esordio Tons of Sobs, prodotto nel 1969 da Guy Stevens, in cui, oltre ad un paio di cover, figuravano otto brani propri tra cui la prima hit, I’m a Mover, cui fecero seguito Free, scritto quasi interamente dalla coppia Fraser/Rodgers ma soprattutto Fire and Water, 1970, un successo eclatante che giunse al secondo posto nelle charts inglesi ed al diciassettesimo in quelle americane.
Al suo interno i due brani che catapultarono i Free tra i grandi del rock: la granitica Mr. Big, inizio regolare, poi una lenta progressione per giungere ad una seconda parte in cui la chitarra di Kossof ed il basso di Fraser dialogano furiosamente, scambiandosi i ruoli e costruendo un finale avvincente, ma soprattutto quello entrato nella storia, croce e delizia della band e dei fans, il classico che “non puoi non fare, se no il pubblico resterà deluso” malgrado uno show più che all’altezza: All Right Now, intro, strofa e ritornello stra-conosciuti anche dai non addetti ai lavori, composizione che, per il riscontro ottenuto, ogni band avrebbe voluto realizzare.
Dopo tre album che ne avevano decretato il successo, tutto più semplice… niente affatto: di solito un album dal vivo segue ovvie logiche di mercato, quali poter esibire un repertorio in versioni live, magari dilatate, che ne mostrino la validità fuori dallo studio durante un’esibizione ben riuscita, ma in realtà Free Live! registrato tra Gennaio e Settembre del 1970 in due location, il Locarno Fillmore North di Sunderland e la Fairfield Halls di Croydon, fu pubblicato anche per altri motivi, tutt’altro che allegri o positivi: Kossoff aveva già mostrato una fortissima dipendenza dall’eroina, le sue esibizioni dal vivo iniziavano ad essere appannate ed a ciò andava aggiunto il fatto che le due menti creative, Rodgers e Fraser, avevano iniziato ad essere profondamente in contrasto tra loro, fattore che esploderà definitivamente nei due album successivi al live, Highway e Free at Last, indizio dell’imminente fine: occorreva fissare quei momenti, prendere tempo e capire l’evoluzione di una situazione assai instabile.
Free Live! rappresenta tuttora il miglior best of della band londinese: rieditata nel 2002, è stato arricchito con sei tracce relative a quegli show, più un brano in studio, Get Where I Belong, riproposto in due alternative takes.
La tracklist non fa sconti: Rodgers saluta il pubblico con un timido “Hallo!!!” ed immediatamente parte, introdotto dalla batteria di Kirke, uno dei riff più famosi di tutto il decennio: All Right Nowapre le danze con un Kossoff ancora abbastanza lucido per stare sui livelli migliori, seguita da un’ammiccante e languida I’m a Mover e da una struggente ed emozionante versione di Be My Friend: la band, nonostante i problemi, viaggia a pieno regime e lo dimostra grazie ad una tonica versione di Fire and Water in cui Rodgers mostra perché la sua voce sia considerata tra le più belle del panorama rock, mentre il solo di Kossoff è malinconico e nostalgico.
La doppietta che segue è da centellinare: Ride on Pony che troverà posto su Highway, uscito durante il tour, affascina grazie all’incedere lento ed ipnotico con Kossoff a pennellare sprazzi di lucida intensità, Mr. Big, registrata alla Fairfield Halls con Fraser geniale nei contrappunti, conferma coesione e potenza raggiunte, espresse in un finale torrenziale; The Hunter, cover di Albert King, chiude degnamente uno show che mostra le potenzialità di una band con ancora ampi margini di crescita: Get Where I Belong è la ballad che ne svela il lato più intimo e meno tormentato.
Le bonus tracks aggiunte trent’anni dopo recuperano una vigorosa ed energica Woman, una intensa ed a tratti straziante Walk in my Shadow con Rodgers e Kossoff particolarmente coinvolti ed un Fraser in grado di creare linee fluide ed accattivanti, seguite da Moonshine, cupa, quasi tenebrosa grazie ad un Kossoff che cesella pochissime note appena accennate creando una continua sospensione spazio-temporale e da Trouble on Double Time, cassa in quattro per iniziare, Kossof e Fraser in versione Hot Tuna style e Rodgers che getta l’anima oltre le corde vocali; le versioni di Mr. Big ed All Right Now alternative a quelle proposte e tratte dalle altre serate sono più energiche forse a causa delle migliori condizioni di Kossoff, vera mina vagante.
Questi British hard rock pioneers, come li definì Rolling Stone, erano al capolinea: Highway ed il successivo Free at Last, registrato dopo che la band si era sciolta nell’Aprile 1971 e poi riunita tra Gennaio e Marzo 1972, furono gli ultimi album della formazione storica: il primo non andò bene, malgrado brani interessanti, il secondo giunse al nono posto delle charts grazie ad un ottimo singolo, Little Bit of Love.
Nel 1973 vide la luce l’estremo, faticoso colpo di coda Heartbreaker, dalla gestazione complessa perchè se ne andò Andy Fraser, sostituito da Tetsu Yamauchi, arrivò John Rabbit Bundrick alle tastiere e William Garrett “Snuffy” Walden affiancò alla chitarra un Kossoff sempre più alla deriva ed intasato di Mandrax (Quaalude).
Malgrado la situazione tesa giunsero al nono posto nelle charts e piazzarono un singolo notevole,Wishing Well, di fatto il loro passo d’addio: Paul Kossoff, forse uno dei più grandi chitarristi di sempre, si spense sul volo Los Angeles – New York il 19 Marzo 1976, ma i Free erano già finiti dopo il Tour americano del 1973.
(Island Records/Universal Records, 1970)