
Questo inizio d’anno ci riserva una vera sorpresa: Elli De Mon, nome scelto per le sue produzioni musicali da Elisa De Munari, pubblica un disco in dialetto veneto, dell’alto vicentino dove è nata e cresciuta, dove ha le sue radici (raìse, appunto), accompagnandosi a musiche contaminate da blues, punk, metal e atmosfere gotiche e indiane. Un’opera letteraria messa in musica, un musical in chiave moderna, ma che affonda nelle leggende del passato: per comporre gli undici brani contenuti in questo bel lavoro Elli De Mon si è affidata alla tradizione orale tramandatale dai suoi nonni e dai vecchi del paese di Santorso. I testi narrano le avventure di Orso, che trovò pace, perdono e morte ai piedi del monte Summano che sovrasta quel borgo. La chiesa ne fece un santo ma ad Elli De Mon interessava indagare l’uomo Orso, segnato dalle vicende travagliate della sua vita, tra l’incoronazione a Re della Dalmazia, al terribile omicidio del padre, del figlio e della consorte di cui si macchiò, al pentimento seguito dall’espiazione imposta dal Papa Adriano I, con un pellegrinaggio fino alla chiesa di S. Maria in Monte Summano. Un percorso di ricerca interiore e affrancamento dalla miseria dell’odio e dell’ira, culminato con la pace nelle braccia della morte, da uomo liberato.
Raccontando di Orso, Elli De Mon si riconcilia con le paure e le ansie delle leggende, a volte oscure, che ogni piccolo borgo tramanda di generazione in generazione, e che costituiscono l’essenza del carattere dei suoi abitanti, l’appartenenza alla storia che trasuda da ogni singola pietra delle case, delle chiese e dei castelli.
Ascoltando il disco si percepisce chiaramente quanto sia stato pensato, voluto e composto con amore, ma anche con tratti di inquietudine, che si riflettono nelle pennate rabbiose della chitarra e una batteria compulsiva a sottolineare la tensione emotiva ma soprattutto la liberazione dai demoni malefici che attanagliano le nostre vite. Un percorso di ricerca sulla tradizione orale, messa in musica elaborando armonie e vocalizzi che alternano momenti di estrema veemenza ad altri di dolcezza amara, di ironia tragicomica, ma anche di dignità ribadita.
Attraverso gli undici brani si dipanano i sentimenti che dall’odio si tramutano in consapevolezza e pentimento, liberazione e ritrovato senso di umanità. La musica riflette e accompagna questo periglioso passaggio con tratti di impeto indiavolato a sottolineare l’estrema fatica di Orso nella sua ricerca interiore evolvendosi nello scorrere dei passi e dei brani in dolci melodie, accompagnate da strumenti inconsueti per un’opera rock ma del tutto funzionali alla narrazione. Elli De Mon si cimenta con contrabbasso, strumento per il quale si è laureata al Conservatorio, chitarre, ukulele, sitar, dilruba, harmonium, tanpura, magistralmente suonati, accompagnata per questa opera da Marco Degli Esposti alle chitarre e synth, nonché curatore della registrazione e del mixaggio, e Francesco Sicchieri alla batteria.

I brani sono contrassegnati come canti di un’opera epica, la storia di un uomo inferocito per le devastanti esperienze di adolescente non amato e della redenzione dolorosa.
Canto I: Raìse, l’inizio dell’opera, non poteva che essere il racconto della nascita di Orso, figlio fin da subito considerato un concorrente per il potere dal padre, la madre che ne accetta l’allontanamento. Il canto è dolente e disperato, ma anche intriso di rabbia.
Canto II: Orso, è uno stralunato rock potente e pulsante, il brano del peccato di essere un uomo solo, abbandonato e irato, ma anche dell’accettazione della solitudine del “senza famiglia”.
Canto III: Sinner, dall’incipit affidato ad un contrabbasso profondo, che sembra provenire dalle parti più recondite dell’animo, dove si annidano i rimorsi. Elli De Mon canta con una voce implorante, toccando le corde più sensibili degli ascoltatori, aprendo ad una melodia dalle sequenze ampie. Un brano straordinario che dà l’esatta dimensione dello sconvolgimento interiore del protagonista con un tema musicale blues, sotterraneo, oscuro e demoniaco.
Canto IV: Sumàn, il Monte della redenzione, rappresenta la meta del cammino duro e faticoso con gli occhi di Orso sempre rivolti a terra per bolla papale. Ciò nonostante, dal canto e dalla melodia del brano emerge finalmente la speranza, i primi ricordi delle poche storie serene dell’infanzia, un’immagine della laguna di Venezia, che De Mon ha tratto da un antico canto lagunare del 1600.
Canto V: El Me Moro, il sitar suona dolce in apparente contrasto con l’antico canto tradizionale femminile della Val Leogra, che racconta della “normalità” della relazione familiare tra mogli e mariti fatta di vessazione e violenza maschile. La musica si trasforma in una esplosione drammatica di suoni ed è uno dei primi segnali di acquisizione di consapevolezza di Orso, in ricordo della madre, vittima come lui dei soprusi del marito e padre padrone.
Canto VI: El Foresto, Orso giunto da pellegrino nella comunità si trova ad affrontare le volute distanze tenute dalla gente del luogo verso la sua presenza. Lui, abbruttito e stanco dal lungo cammino intrapreso, viene isolato, scansato e lasciato senza aiuto. Le note assumono un aspetto drammatico, con chitarre distorte e pennate rabbiose, come la voce di Elli De Mon che rende palese tutta la disperata richiesta di aiuto del penitente.
Canto VII: Oseleto, qualcosa sta cambiando, e la chitarra pizzicata dolcemente lo anticipa. Un uccellino che si avvicina ai suoi piedi fa ricordare a Orso che il cielo infinito è ancora sopra la sua testa china a terra in osservanza ai dettami del Papa.
Canto VIII: Babastrii, il ritmo incalzante come il volo cieco dei pipistrelli (babastrii in dialetto vicentino), incornicia un passaggio fondamentale per Orso, la sua presa di coscienza nell’assumersi senza vittimismi la piena responsabilità di quello che ne resta della sua vita. Un brano dalla potenza furente, dark metal, la voce rabbiosa della De Mon, a tratti imperiosamente narrante, declama il testo in maniera decisa (… Prendo coraggio e salto dentro al buio per far scappare i rospi e i pipistrelli che mi popolano la testa …).
Canto IX: Giose, l’acqua salvifica arriva finalmente e ad Orso appaiono il cielo e sé stesso riflessi in una pozzanghera. E’ la svolta e l’inizio di una nuova vita interiore, la salvezza è a portata di mano. Voce e musica si addolciscono per testimoniare la nuova verità: Siamo un gioco di acqua, solo un gioco di acqua.
Canto X: Sàro Tera, siamo all’epilogo: Orso è arrivato alla meta dopo un lungo viaggio a piedi durato dodici anni che lo ha trasformato. Corpo e anima hanno raggiunto una nuova consapevolezza e il cerchio della vita si richiude. Il suono dell’harmonium dolce e monocorde funge da tappeto sonoro al sitar, alle chitarre e alla voce sussurrata. Il Monte Summano è pronto ad accogliere nel suo grembo Orso ritrovato.
Canto XI: Nana Bobò, Orso è ancora presente nelle viscere del Summano e tra le strade del paese di Santorso, la sua leggenda non muore. Questo brano, tratto dalla ricca tradizione di canti popolari veneti, è una ninna nanna che la Montagna canta al suo figlio ritrovato, ma Orso no, lui non dorme e continua a vivere tra le genti di quella valle ai piedi del Summano.
Elli De Mon ha scritto suonato e cantato un’opera che racconta il passato ma parla al presente, un’operazione dall’alto profilo culturale realizzata da un’artista straordinaria.
Ricca è la confezione, dalla copertina disegnata da Luca Peverelli e le fotografie del libretto, contenente i testi con traduzione a lato, di Marco Olivotto. Coloro che hanno aderito alla raccolta fondi per la realizzazione dell’opera, hanno ricevuto anche un elegante, prezioso piccolo libro, scritto in forma di favola gotica da Elisa De Munari (Elli) e decorato con bellissime tavole di Luca Peverelli.
ELLI DE MON – Raìse (Rivertale Productions – 2025)
Elli De Mon – voce, contrabbasso, chitarre, ukulele, sitar, dilruba, harmonium, tanpura;
Marco Degli Esposti – chitarre, synth;
Francesco Sicchieri – batteria.
