Day of Phoenix – Mind Funeral-The Recordings 1968-1972

(Andrea Romeo)

Storie minime di un sottobosco musicale, quello danese, che già alla fine degli anni ’60 iniziava a produrre musica che, riascoltata oggi, se la sarebbe potuta giocare serenamente con avversari ben più conosciuti e pubblicizzati. La storia dei Day of Phoenix inizia più o meno nei primi mesi del 1968 e vede protagonisti il cantante e chitarrista Cy Nicklin, il batterista Henrik Friis, Ole Prehn, voce e chitarre 6 e 12 corde, Karsten Lyng alla chitarra solista e Jess Stæhr al basso, gli ultimi tre già membri di una band preesistente chiamata The Maniacs.

Con questa formazione registrarono due singoli, Tell Me / I Think it’s Gonna Rain Today (la prima scritta da Dave Cousins degli Strawbs, la seconda da Randy Newman), dopodichè Nicklin se ne andò improvvisamente per formare un’altra band destinata a divenire di culto, i Culpeper’s Orchard, ma non fu questo l’unico cambiamento: con l’uscita di Stæhr, l’ingresso di Erik Stedt al basso e l’arrivo del nuovo cantante Hans Lauridsen la lineup si assestò definitivamente e la band venne invitata ad aprire alcuni concerti dei Colosseum.

Dopo uno show tenutosi ad Aarhus ebbero modo di conoscere il bassista Tony Reeves che contattò il loro manager Walther Klæbel e decise di produrre il loro primo album, Wide Open N-Way, realizzato a Copenhagen nel 1970 e pubblicato nel 1971, dopo la postproduzione affidata a Les Reed, presso la Chapter 1 Records.

Il lavoro divenne immediatamente un piccolo must presso gli appassionati di musica prog che, in nord Europa, iniziavano a moltiplicarsi, ed ebbe inoltre ottime recensioni da parte della critica; ciò spinse la band a realizzare, sempre nel 1971, altri due singoli, Deep Within the Storm / Chicken Skin’ Followed.

L’interessante mix di psichedelia, influenze west-coast, jazz e musica folk era nelle corde del pubblico nordico, già avvezzo ai suoni della musica popolare, ma desideroso di ampliarne i confini; in questo senso la band danese fece da trait d’union tra differenti culture ed influenze musicali.

Il destino però è spesso imprevedibile e la parabola dei Day of Phoenix rischiò di interrompersi tragicamente nello stesso anno: il bassista Erik Stedt venne trovato morto per overdose ed il fatto fece molto scalpore perché, nel panorama musicale danese, si trattava di uno dei primissimi casi di decesso per uso di droghe; la band decise di proseguire con quattro elementi, con Ole Prehn dirottato anche al basso e, sempre sotto l’egida di Reeves, realizzò il secondo album, The Neighbour’s Son, sensibilmente differente dal primo; le composizioni si accorciarono, vennero semplificati gli arrangiamenti, si perse la connotazione prog verso un rock più diretto ed immediato.

L’incapacità di evolversi, pur avendo rivitalizzato il gruppo accogliendo Ole Fick, Bo Thrige Andersen ed aver richiamato il primo bassista Jess Stæhr, impedì però alla band di costruirsi un futuro: pochi mesi dopo la pubblicazione del secondo lavoro il gruppo si sciolse definitivamente senza lasciare alcuna traccia negli anni successivi.

Intervistato decenni dopo, riguardo alla band che lo aveva visto tra i protagonisti, Ole Prehn, il principale compositore, da dietro la sua lunga barba in pieno Confucian-style, si dimostrò sinceramente stupito del rinnovato interesse per un gruppo che, tutto sommato, era esistito solamente per poco più di due anni e con molta schiettezza affermò che: “It’s with difficulty I listen to any of the tracks so many years later… not that I distance myself from what we recorded, but because it seems to belong to a different space and time”.

Mind Funeral – The Recordings, 1968-1972, pubblicato dall’etichetta Esoteric, raccoglie l’intero lavoro dei Day of Phoenix, ovvero i due album ed i quattro singoli, riaccendendo i riflettori su un gruppo che, pur non entrando nella storia del rock attraverso la porta principale, ha comunque rappresentato insieme a molti altri uno di quei piccoli importanti tasselli che hanno contribuito a realizzare l’edificio musicale che, dalla metà degli anni ’70 in poi, rappresenterà la “via nordica” al rock, progressive in primis, ma poi anche metal, nelle sue varie connotazioni: black, death, doom, dark, gothic, symphonic…

Riascoltare oggi composizioni come Cellophane #1 e #2, o Wide Open N-Way, rappresenta davvero, come affermato dal cantante e chitarrista danese, un salto nel passato, ma rende onore ad una band dalle indubbie capacità, in grado di realizzare brani articolati, strutture musicali complesse, ricche di suggestioni e di riferimenti culturali, arrangiamenti ariosi e mai ripetitivi; If You Ask Me è, nel suo piccolo, un esempio di virtuosismo strumentale mai portato all’eccesso, ma indicativo delle capacità esecutive dei componenti del gruppo.

La suite che dà il titolo alla raccolta, Mind Funeral, piccolo gioiello di progressive elettroacustico con interessanti inserti jazzati, è un brano a suo modo pionieristico perché realizzato in un contesto musicale che iniziava solo allora a fare capolino in mezzo ai giganti che lo circondavano: se si considerano le band, poi divenute famose, che presero il largo tra il 1969 ed il 1971, risulta evidente quanto la concorrenza fosse ad un livello terribilmente elevato, per cui fu inevitabile che, le scene musicali “minori”, avessero grosse difficoltà nel poter emergere.

Una breve ma significativa esperienza, quella dei Day of Phoenix, che oggi rivede la luce e dimostra indiscutibilmente di poter brillare ancora.

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