David Garfield & Friends – The State of Things

Lui è David Garfield, keyboards, organ, piano, con lui ci sono Michael Landau, guitar, vocals, Steve Tavaglione, Akai EWI, John PenaJimmy JohnsonWill LeeAbraham Laboriel e Mike Porcaro, bass, Randy Brecker, trumpet, Michael Brecker e Brandon Fields, tenor sax, Larry Klimas, sax, Eddie Van Halen (intro and chorus on song six), Allan Holdsworth e Mike Miller, guitars, Terry Trotter, piano, Walt Fowler, flugelhorn, Carlos Vega,Vinnie ColaiutaSimon PhillipsGregg Bissonette  e John Guerin, drums e Lenny Castro, percussion…

Non ha certamente lesinato, quanto ad ospiti, il tastierista, autore, arrangiatore e produttore nato a Chicago, Illinois, nel 1956: per realizzare l’ottavo album come leader ha voluto affidare ogni singolo strumento ad un gruppo di veri maestri, a musicisti che non solo avevano un nome, ma in grado di offrire il meglio della loro arte.

Il fatto di aver inciso insieme a Smokey RobinsonCherLarry CarltonSteve LukatherSpinal TapGeorge BensonThe Manhattan Transfer e The Rippingtons, e di aver inoltre suonato dal vivo con Freddie HubbardBoz ScaggsOleta AdamsBrenda RussellNatalie Cole, The Blues Brothers e Michael Bolton faceva di lui un riferimento importante, nell’ambito del panorama musicale del terzo millennio, soprattutto per via della sua adattabilità a differenti generi musicali, dote di cui egli stesso ha affermato: “It’s creatively invigorating to have the opportunity to do so many interesting musical projects, to see so many amazing places throughout the world, and to work with some of the greatest musicians both in L.A. and overseas. I feel as though I am always learning from the artists and musicians I work with, not simply on a musical level, but also benefiting from their wealth of stories and life and career experiences. There are always unexpected thrills along the way, from opening with his band for Sergio Mendes or Jason Mraz to recording in a studio next to Paul McCartney or Alice in Chains and having the opportunity to meet and get to know them. I love being involved in so many different aspects of music and the feeling that I truly never know what’s coming up next…

Un vero e proprio globetrotter delle tastiere dunque, ma soprattutto un vero band leader che, proprio per questo motivo, non solo ha voluto circondarsi di un gruppo di stelle della musica, ma ha offerto loro la possibilità di esprimersi, cercando di trarre davvero il meglio dalle loro capacità tecniche, esecutive ed interpretative.

Il risultato di questa operazione, apparentemente semplice, ma che necessitava comunque di un altissimo livello di empatia e di interplay tra i musicisti coinvolti, si è concretizzato nelle dodici tracce contenute in The State of Things, prodotto ed arrangiato dallo stesso Garfield, affiancato, di volta in volta, da Landau, Tavaglione, Phillips, Lee, Holdsworth e dal sodale ed ingegnere del suono Allan Hirshberg.

E qui, davvero, si può parlare di “fusion” a 360°, perché i riferimenti musicali contenuti nell’album rispecchiano non solo la poliedricità di Garfield, ma anche le peculiarità di volta in volta esibite dai suoi collaboratori.

Si inizia con il brano che apre l’album, Me, un breve dialogo, carico di riverbero, tra le tastiere di Garfield e la chitarra di Landau, e da lì in poi si prosegue con un susseguirsi di suggestioni: Five Storks, mid-tempo dall’andamento affascinante e malinconico, guidato dalle ritmiche di Vega e Castro affiancati dal duo bassistico Pena/Johnson, Miles, brillante rilettura del brano Milestones, che il trombettista di Alton inserì nell’album omonimo, pubblicato nel 1958, realizzato dal leggendario First Great Quintet al quale, nell’occasione, si aggiunse Julian Edwin “Cannonball” Adderley, ed ancora la cupa Black Cadillac, in cui Landau e Colaiuta spadroneggiano, e la successiva Forest for the Trees, ballad intensa e giocata tutta sulla dinamica tra passaggi “pieni” e momenti di “vuoto” cui fa seguito un’altra cover, decisamente inattesa, per lo meno in questo contesto, ovvero la rivisitazione della hendrixiana If Six was Nine in cui compare, all’interno di un paio di sezioni, l’introduzione ed il chorus, la chitarra inconfondibile di Eddie Van Halen.

A metà del lavoro, l’orizzonte rappresentato è già estremamente ampio perché il team messo insieme da Garfield ha attinto da un repertorio stilistico ricchissimo, che si amplia ancora grazie ad Aliens, mid-tempo con il suo andamento dinoccolato ed ammiccante, mentre Naima scivola verso il clubbing, brano notturno e dal fascino discreto in cui Klimas, Fowler e Laboriel creano intrecci davvero seducenti.

La musica proposta da Garfield e soci è, decisamente, di tipo “visuale” perché dipinge una serie di possibili scenari differenti e Toast for Eli coglie in pieno questo aspetto, in quanto brano quasi da colonna sonora, in cui Vega e Colaiuta sostengono un torrenziale ed ispiratissimo Landau, laddove Nardis invece, grazie al piano di Trotter ed al contrabbasso di Chuck Domanico, ritorna verso lidi più classicamente jazz.

Ci si avvia verso la fine dell’album con Chimo, in cui Vega, Colaiuta e Castro imprimono inizialmente un groove decisamente latin, sottolineato tra l’altro dai precisi e vivaci contrappunti del basso di Johnson, prima che la band si lasci andare ad un finale decisamente rock, per chiudere infine con Tsunami, vero tour de force in cui brillano il drumming di Colaiuta, le tastiere di Tavaglione ed il lavoro, chitarristico e di synth axe, di un riconoscibilissimo Allan Holdsworth.

Se volessimo utilizzare, in ambito musicale, il concetto di multiculturalità, The State of Things potrebbe certamente rappresentarne la raffigurazione plastica: varietà di ispirazione, di stili, di approccio esecutivo, per un copione non scritto, ma che si va componendo lungo il percorso, e soprattutto massima libertà, lasciata ai musicisti, di interagire fra loro, offrendosi reciprocamente stimoli e suggestioni da cui partire per una sorta di viaggio musicale dal finale aperto.

(ESC Records, 2005)

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