Danny Barnes: Man On Fire, il nuovo album tra tradizione, amicizia e “Folktronics”

(Raffaella Mezzanzanica – 16 marzo 2020)

V-I-R-T-U-O-S-O.  Sia esso inteso come aggettivo che come sostantivo, non c’è termine che meglio si addica a questo artista. Perché se “virtuoso” è chi eccelle in unarte, persona che è capace di usare con assoluta padronanza i mezzi tecnici connessi con lesercizio di unarte, soprattutto in musica, di esecutore vocale o strumentale, sicuramente Danny Barnes rappresenta l’essenza di questa definizione. Considerato uno dei migliori banjo players degli Stati Uniti, nel settembre 2015 ha anche ricevuto lo “Steve Martin Prize for Excellence in Banjo and Bluegrass”.

I-N-N-O-V-A-T-O-R-E. Nel 2015  Danny Barnes riceve questo prestigioso riconoscimento con la seguente motivazione: essere “uno dei più particolari e innovativi performers nel genere bluegrass”. Ma non solo. Tutta la carriera musicale di Danny Barnes è stata ed è caratterizzata dalla ricerca dell’innovazione, dal saper unire in modo sapiente la tradizione musicale americana (bluegrass, country, folk) a generi più alternativi come il jazz, il rock e anche il punk. Lo ha fatto attraverso la sua personale idea di “Folktronics”: “The rough idea of Folktronics is to hear all of American music at once. It’s a combination of scratchy old music from the beginning of the physically recorded medium, and contemporary editing techniques. The cool thing is with just a few parameters, like a binary code or the light and shade of chiaroscuro, there can be infinite variations” (cit- Danny Barnes – Introduction to Folktronics).
Danny Barnes potrebbe essere considerato per la musica ciò che Jackson Pollock e l’action painting hanno rappresentato per l’arte: una rivoluzione.

Danny Barnes nasce il 21 dicembre 1961 a Temple (Texas) e, proprio per le sue origini è abituato, sin dall’infanzia, a confrontarsi con la realtà del lavoro duro, manuale, il lavoro della terra e della miniera: il padre, infatti, era un minatore diventato poi venditore di trattori destinati all’agricoltura. La realtà in cui vive Danny è quella di gente che si spacca la schiena ogni giorno per sostenere la propria famiglia e, a volte, anche solo per sopravvivere. Questi ricordi legati all’infanzia non lo abbandoneranno mai e, anzi, diventeranno una costante dei suoi brani.
Dal punto di vista musicale, Danny Barnes cresce con un background molto vario: ascolta il country e il bluegrass grazie al padre e alla nonna, mentre i due fratelli lo iniziano all’ascolto di Delta blues e punk.
Anche questa eredità musicale non andrà persa e sarà la base per la costruzione e definizione del “Folktronics”. A dieci anni partecipa a un concerto di Grandpa Jones e Stringbean e da quel momento il banjo diventerà parte essenziale della “vita musicale” di Danny. Si iscrive all’Università del Texas dove si laurea in “audio production” nel 1985.
Nel 1990 fonda la sua prima band, i Bad Livers. Insieme a lui ci sono il bassista Mick Rubin e il violinista Ralph White. In questo periodo, Danny Barnes inizia a farsi conoscere nell’ambiente e la sua voce viene definita “an ideal bluegrass voice”.
All’inizio degli anni 2000, si trasferisce nello stato di Washington, nell’area di Seattle. Fonda prima una nuova band, Danny Barnes & Thee Old Codgers e, subito dopo, inizia la carriera solista.
Nel 2002, Danny Barnes incontra il visionario chitarrista jazz Bill Frisell, il quale vorrebbe realizzare un album incorporando la tradizione musicale americana – country e bluegrass – al suo modo di suonare. Il risultato di questa collaborazione è l’album di Bill Frisell, intitolato The Willies.

Lo spostamento a Washington permette a Danny Barnes di conoscere e collaborare con tantissimi artisti, appartenenti ai generi musicali più diversi: Béla Fleck (che condivide con Danny Barnes il fatto di essere un grandissimo banjo player, nonché un grande autore), Lyle Lovett, Robert Earl Keen, la Dave Matthews Band e altri.

Dal 2007 al 2010 Danny Barnes partecipa come guest star a diversi concerti della Dave Matthews Band, incluse le tre serate al The Gorge nel 2009. Partecipa come guest star ai brani Spaceman e Alligator Pie, tratti dall’album and Big Whiskey & The GrooGrux King della DMB.

Nel 2009, pubblica l’album Pizza Box, che vede la partecipazione di Dave Matthews a due brani, The Road e Cavemen, ma anche alla realizzazione della cover dell’album (non tutti, infatti, sanno che Dave Matthews è anche un eccellente disegnatore e lo ha dimostrato anche attraverso l’artwork di diverse copertine degli album della DMB).

Il rapporto di collaborazione ma, soprattutto, di amicizia con Dave Matthews è rimasto intatto fino ad oggi. In queste settimane, è stato pubblicato Man On Fire, l’ultimo lavoro di studio di Danny Barnes. Si tratta di un album in perfetto stile Folktronics, in cui la tradizione incontra l’innovazione. Per la realizzazione dell’album, Danny Barnes ha voluto chiamare un po’ di amici: John Paul Jones (Led Zeppelin) che suona basso e mandolino direttamente da Londra, Bill Frisell alla chitarra da Brooklyn, Matt Chamberlain (Bruce Springsteen e David Bowie) batteria e percussioni da Los Angeles. Il tutto coordinato dalla regia di Dave Matthews, in veste di produttore esecutivo.

E’ un disco frutto del presente, perché non è “ufficialmente” nato in uno studio di registrazione ma ogni artista menzionato ha registrato e inviato la propria parte via e-mail.

E così come Pizza Box, anche Man On Fire è stato pubblicato per ATO – According To Our Records, l’etichetta indipendente fondata nel 2000 da Dave Matthews e dal manager Coran Capshaw, che comprendere tra gli altri: My Morning Jacket, Alabama Shakes, Drive-By-Truckers e, più recentemente, Black Pumas.

“It’s really stressful to not have anywhere to go” (Danny Barnes)

Con queste parole si apre il video di Hey Man, il secondo singolo estratto da Man On Fire. E’ un brano che racconta le difficoltà di chi vive per strada, senza una casa e che, ogni giorno, deve cercare un posto dove ripararsi, dove dormire. E’ un brano dedicato a chi cerca di sopravvivere (Hey Man, If you don’t mind/I’m here tryin’ to close my eyes – cit. “Hey Man”, Danny Barnes). E’ un brano che è stato scritto per creare consapevolezza nei confronti di chi ascolta. Il brano, anzi il video, si spinge oltre: alla fine, infatti, si possono leggere i riferimenti di due organizzazioni, Mary’s Place e The National Coalition for the Homeless, che si occupano di aiutare i senzatetto.

Protagonista di questo video è Dave Matthews che, nella sua carriera, ha anche partecipato come attore ad alcuni film e, diciamo la verità, ha una mimica facciale davvero unica.

“[Matthews] and I were thinking that we ought to do a video, and he’s such a good actor. Dave’s really great with facial expressions and stuff like that. I thought it would be cool to do and he got all his people involved and it turned out really great. I love the way they treated the color palette and the editing and made it kind of herky-jerky. I think it’s really brilliant. It’s a really interesting story.” (cit. Danny Barnes – Billboard Magazine – 6/3/2020).

Riconoscibilissima, poi, la voce di Dave Matthews nel brano Zundapp, per gli agli amanti delle due ruote dedicato alla casa produttrice di motociclette tedesca, in attività negli anni dal 1917 al 1984.

L’album si chiude con The Ballad of Nope, un bellissimo duetto per banjo e chitarra. “It didn’t turn out the way I was hopin’/but it’s still alright with me”. (cit- The Ballad of Nope – Danny Barnes).

In queste parole è racchiuso il messaggio di speranza che è anche un po’ il filo conduttore di tutto l’album: trovare positività anche nei momenti più difficili aiuta a superarli.

Un album uscito in un momento storico particolare ma che contiene un messaggio di speranza e la speranza è ciò di cui tutti noi, oggi più che mai, abbiamo bisogno.

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