Da Queen Latifah a Sampa The Great: la protesta femminile in stile hip hop

(Raffaella Mezzanzanica – 20 settembre 2019)

Da sempre, alcuni generi musicali più di altri sono considerati una “esclusiva” degli uomini: il country, ad esempio, e, più recentemente, il rap e l’hip hop.
Le donne, nel pensiero di molti, avrebbero potuto e forse dovuto “dilettarsi” esclusivamente in generi musicali più “commerciali”, il pop ad esempio.
Come se questo non bastasse, il linguaggio estremo, senza giri di parole, usato per trasmettere al pubblico messaggi forti, ha portato molti ascoltatori, anche attenti e preparati, a non considerare rap e hip hop come “generi musicali”.
E tuttavia, con il loro atteggiamento di rifiuto, questi soggetti non hanno fatto altro che avallare l’essenza di questi stili che, partendo dalla musica, sono diventati dei veri e propri “movimenti culturali”, incorporando anche l’arte, la danza, la moda e il costume in generale.

Il rap e l’hip hop hanno definito e formato un nuovo linguaggio.

Un altro elemento di rifiuto è dovuto al fatto che rap e hip hop sono nati e si sono sviluppati nel ghetto e, quindi, storicamente sono legati alla realtà afro-americana. Questo almeno fino all’arrivo prima dei Beastie Boys e, in seguito, di Eminem.

Dalla “old school”, con Rapper’s Delight di The Sugar Hill Gang (1979), a The Message di Grandmaster Flash and the Furious Five, agli Afrika Bambataa fino alla “new school” con Run DMC, Public Enemy o Beastie Boys, per continuare con TuPac, Notoriuous B.I.G, sembra davvero che rap e hip hop siano una cosa da “maschi”.

Tutto questo è assolutamente FALSO!

Artiste importanti e conosciutissime hanno utilizzato e continuano a utilizzare questi stili per creare dei veri e propri “manifesti femminili e femministi” e per trasmettere importanti messaggi economici e sociali.

Basterà ricordarne alcune, pur nella consapevolezza che, per ognuna di queste donne, bisognerebbe parlare in modo approfondito, considerando l’impatto che la loro musica , i loro testi e loro stesse hanno nel panorama musicale.


QUEEN LATIFAH

Ha iniziato come cantante hip hop, jazz, R&B nel 1987 e si è cimentata spesso e volentieri anche come attrice (la ricordiamo per una grande interpretazione di Bessie Smith nel film “Bessie”, del 2015 o nel film “Hairspray” con John Travolta). Queen Latifah ha pubblicato sei album e, nel 1995, ha vinto un Grammy Award come “Best Rap Solo Performance” con U.N.I.T.Y. Questo brano tratta della mancanza di rispetto nei confronti delle donne da parte della società, delle molestie verbali e non che spesso le donne devono sopportare quando camminano per la strada, della violenza domestica e delle offese che le artiste hip hop devono subire da parte dei maschi.

Il suo primo album All Hail the Queen, pubblicato nel 1989 e inserito nel 1998 nell’elenco dei “Cento album hip hop migliori di sempre” dalla rivista The Source, contiene il brano Ladies First feat. Monie Love in cui, ancora una volta, si parla di donne e di stereotipi legati al mondo femminile, anche nella musica: “I break into a lyrical freestyle /Grab the mic, look into the crowd and see smile /Cause they see a woman standing up on her own two/Sloppy slouching is something I won’t do/Some think that we can’t flow (can’t flow)/ Stereotypes, they got to go (got to go)/ I’m a mess around and flip the scene into reverse/ (With what?) With a little touch of “Ladies First”.


MISSY ELLIOTT

Trent’anni di carriera appena celebrati con un’esibizione apocalittica ai recenti MTV Video Music Awards (VMAs), Missy Elliott è una vera e propria icona vivente: non per nulla il suo ultimo EP, uscito lo scorso 23 agosto, si intitola Iconology.

A lei va anche il merito di aver sempre sostenuto altre artiste, anche attraverso collaborazioni o partecipazioni ai loro brani e video. Nel 1998 è stata tra le protagoniste assolute del Lilith Fair, un festival musicale itinerante creato dalla cantante Sarah McLachlan e che ebbe la particolarità di essere esclusivamente dedicato sia a cantanti soliste che a band tutte femminili.

D’altra parte, molti dei suoi successi (ricordiamo Work It che parla della sessualità femminile o Lose Control che tratta il tema dell’aspetto fisico: non bisogna necessariamente essere magre e bianche per essere stupende) sono incentrati sulle donne e per questo è stata definita una vera e propria “icona femminista”.


LAURYN HILL

Ha mosso i primi passi nel mondo della musica con il gruppo The Fugees, insieme a Pras Michael e Wyclef Jean. Tutti ricordano questo gruppo anche per la cover di Killing Me Softly inserita nel loro album The Score.

Ottiene la consacrazione definitiva con l’album The Miseducation of Lauryn Hill, pubblicato nel 1998, inserito dalla Rivista Rolling Stone nella lista dei “500 migliori album” e che le ha permesso di diventare la prima donna a vincere cinque Grammy Awards in una sola serata.

Nel 2018/2019 ha iniziato un tour per celebrare il ventesimo anniversario di quest’album, frutto di una perfetta combinazione tra soul e hip hop. La scelta di unire questi generi non è stata casuale, poiché Lauryn è cresciuta con riferimenti soul molto precisi, ma la sua giovinezza è stata caratterizzata dall’esplosione della cultura hip hop.

The Miseducation of Lauryn Hill ha rappresentato per molti un vero e proprio riferimento musicale e culturale. Nell’album è presente una collaborazione davvero magica con Carlos Santana nel brano To Zion, dedicato al figlio di Lauryn.

Il brano Doo Wop (That Thing) è il più conosciuto, rappresenta la massima espressione di un album perfetto e parla di come spesso gli uomini mostrino più interesse nei confronti di cose costose e frivole, spesso dimenticando le proprie compagne o la famiglia. E’ un brano che promuove l’uguaglianza tra i sessi, la parità di genere. Si capisce anche dal ritornello, prima rivolto agli uomini: “Guys you know you’d better watch out/ Some girls, some girls are only about/That thing, that thing, that thing/That thing, that thing, that thing” e poi, nello stesso modo, alle donne.  
Lauryn, a suo tempo, aveva mosso accuse nei confronti dell’industria musicale e sul modo in cui le donne erano rappresentate: “For some reason, women aren’t taken seriously as thinkers and creators and arrangers and producers.” “The industry thinks there always has to be some man somewhere puppeteering the whole situation. It doesn’t make you feel good as an artist when you are having conversations about your music and people don’t take it seriously.” (cit.Lauryn Hill).


JANELLE MONAE

Pupilla di Prince, chi ha avuto la fortuna di vederla dal vivo sa benissimo che Janelle Monae è una vera performer. Non solo.  Oltre ad essere una cantautrice, attrice, produttrice discografica, Janelle è anche attivista. I brani del suo ultimo album, Dirty Computer, sono un inno alla “Black Girl Magic”. Il brano Americans, ad esempio, trova ispirazione nel discorso “A More Perfect Union”, tenuto da Barack Obama a Philadelphia il 18 marzo 2008, a sua volta ispirato da una frase di Quincy Jones citata dalla rivista GQ (febbraio 2018): “If you’re black, that’s what you get used to in America…anger doesn’t get anything done , so you have to find out: How do you make it work? That’s why I was always maniacal in transforming every problem into a puzzle which I can solve. I can solve a puzzle – a problem just stresses me out”.
Janelle merita di essere ricordata anche per un suo precedente singolo intitolato Hell You Talmbout. La parola “Talmbout” citata nel titolo è una contrazione dell’espressione “Talking About”, quindi il titolo del brano sarebbe “What the hell are you talking about?”.
David Byrne ha utilizzato questo brano come “encore” nei concerti del tour “American Utopia”.
Il testo della canzone è composto quasi esclusivamente da un elenco di nomi: si tratta di Afro-americani che sono stati uccisi negli scontri con la polizia o per questioni razziali. La canzone diventa un’implorazione a urlare i loro nomi.
Il suo manifesto è Pynk, in cui il colore diventa celebrazione dell’empowerment e della sessualità e anatomia femminile.


SAMPA THE GREAT

Sampa Tempo, conosciuta come Sampa The Great è un’artista nata in Zambia, cresciuta in Botswana. A diciotto anni decide di trasferirsi a San Francisco. Lo shock culturale nel passaggio dall’Africa all’America è fortissimo. Sampa si accorge di aver imparato a conoscere di più se stessa come donna africana dai suoi viaggi al di fuori dell’Africa che non nel periodo in cui ha vissuto in Zambia o Botswana.
Dopo l’esperienza negli Stati Uniti, Sampa si trasferisce in Australia e qui inizia la sua vera e propria produzione musicale.
La sua musica è un concentrato di hip hop, soul e R&B, anche se i suoi principali riferimenti musicali sono principalmente hip hop: Lauryn Hill, TuPac, Kendrick Lamar.
Il suo album d’esordio, Return, è uscito il 13 settembre. Si tratta di un ritorno alle origini, attraverso l’incontro della tradizione, della cultura e della musica africana con l’hip hop e il soul.
Ci sono almeno due brani tratti dall’album che meritano di essere ascoltati:
Final Form. Brano che rappresenta l’essenza di questo album e dell’artista che l’ha pubblicato: la perfetta unione tra la tradizione africana e l’hip hop. Nel video, inoltre, nel rispetto della tradizione, sono presenti dei ballerini tradizionali di Nyau. Solo due parole: “Black Power”. E’ il brano in cui l’artista prende coscienza e mostra le proprie origini.
OMG. Brano dal sound accattivante in cui si parla di prendere coscienza di se stessi, delle proprie origini e della propria cultura. Piccola curiosità: nel video sono presenti i veri genitori dell’artista.
Tuttavia, prima dell’uscita dell’album, Sampa The Great ha pubblicato Energy, singolo non incluso nell’album con la partecipazione dell’artista, DJ e poeta Nadeem Din-Gabisi. Il regista del video, Modu Sesay, ha definito questo singolo “an ode to feminine energy, which is essential to all of our existence and the source of life”.
“Magical, umbilical my universe is radical/Introduce the nation to embracing what is factual/Feminine energy almost mathematical/You can’t really sum up what is infinite and valuable.” (cit. Energy).


This is a man’s world/this is a man’s world sono le parole iniziali di un famosissimo brano di James Brown, registrato nel 1966 e conosciuto da tutti. Questa è la parte di testo che viene citata più spesso, proprio per indicare come siano gli uomini, sempre e comunque, a far girare il mondo.
In realtà, la parte di testo che mi ha sempre colpito di più è quella che segue: “…But it wouldn’t be nothing, nothing without a woman or girl”.
E, pensandoci attentamente, è proprio così. Anche nella musica e in quei generi “maschili” per definizione, le donne hanno saputo emergere, creando manifesti e diventando icone. Dagli anni ’80 a oggi, ma non nascondiamolo, anche prima, è stato sempre e solo un crescendo. Queste donne, Queen Latifah, Missy, Lauryn, Janelle e Sampa The Great sono solo alcuni esempi della rivoluzione che sta avvenendo nel mondo della musica e dell’arte.

Print Friendly, PDF & Email