Byzantium – Halfway Dreaming-Anthology 1969-75

(Andrea Romeo)

Bisanzio, o Byzantium per gli anglofoni, è per i più una città che affonda le sue radici nella storia più antica, una città che è divenuta poi Costantinopoli, ed infine Istanbul; nel 1970, presso la University College School di Hampstead, Londra, gli studenti Nico Ramsden, guitars, vocals, Robin Lamble, bass, flute, vocals e Stevie Corduner, drums, presto raggiunti da Chas Jankel, lead vocals, piano, organ ed in seguito da due ex allievi, Robin Sylvester, bass, keyboards, guitars e Jamie Rubinstein, vocals, guitars,conclusero che, da quel momento, quel nome sarebbe appartenuto anche alla loro band; nei cinque anni successivi, e cioè fino al concerto finale tenutosi al Roundhouse di Londra nel 1975, lo stesso luogo dove avevano debuttato cinque anni prima, ci fu il tempo per realizzare tre album ufficiali, ovvero Byzantium, nel 1972, Seasons Changing l’anno successivo e Live & Studio, lavoro autoprodotto, nel 1974, oltre a tanti, ma veramente tanti concerti non solo nella natia Inghilterra.

Numerosi i musicisti che sono transitati nella band: Julian Diggle, drums, Jon Weiss, guitars, Mick Barakan/Shane Fontayne, lead guitar, vocals, David Hentschel, keyboards (poi importante produttore con Genesis, Elton John, Van der Graaf Generator, Renaissance e Blood, Sweat & Tears) ed ospiti quali B.J. Cole, pedal steel, Alan Skidmore, tenor sax e Frank Ricotti, timpani.

Cinque anni decisamente densi dunque, in cui questa band che ha sempre oscillato tra influenze rock, pop e soul, costantemente venate da un approccio fortemente psichedelico grazie anche ad una certa predilezione per la musica west coast, ha avuto modo di esibirsi a fianco di artisti di primissimo piano: i Byzantium apparvero nei playbills a fianco di Family, Rory Gallagher, The Faces, Hawkwind, insomma furono inizialmente considerati davvero come una tra le band più promettenti della scena britannica dell’epoca, malgrado abbiano poi avuto una carriera dallo sviluppo tutto sommato relativamente breve.

Lo split avvenne, per cause meramente economiche (fatto strano, considerando il periodo), nel momento stesso in cui non vennero più trovati adeguati supporti economici per riuscire a permettere loro di sopravvivere, né ci furono etichette e management disposti a scommettere su di un gruppo che pure aveva dato ottima prova di sé; coccolati all’inizio, anzi considerati ad un certo punto the next big think, e poi scaricati dalla A&M, si sfaldarono improvvisamente alla fine del 1975, dando luogo però ad una serie di singole carriere soliste molto interessanti.

Corduner lavorò in seguito con Nasty Pop, Twist, Jon & Vangelis e Nico, Fontayne/Barakan con Ian Hunter, Mick Ronson, Bruce Springsteen, Van Zant, Chris Botti, Joe Cocker, Sting e CS&N, Robin Lamble fu per anni al fianco di Al Stewart, Nico Ramsden apparve insieme a Mike Oldfield, Gong, Rick Wakeman, Sad Cafe, The Proclaimers; detto di Hentschel, Robin Sylvester affiancò come produttore Rory Gallagher e come bassista Christine McVie, mentre Jamie Rubinstein rimase nell’ambito music business, prima come tour manager dei Curved Air, poi come avvocato, divenendo referente legale per diverse etichette discografiche.

Rimettere mano alla loro discografia è stato un vero e proprio atto di fede, un lavoro certosino grazie al quale sono riemerse tracce che hanno rischiato di scomparire per sempre: l’etichetta Cherry Red ha quindi realizzato questo cofanetto, Byzantium – Halfway Dreaming-Anthology 1969-75, all’interno del quale non solo ha recuperato i tre album ufficiali che erano usciti all’epoca, ma ha affiancato ad essi altre due releases davvero molto interessanti: Ora, album omonimo della band pre-Byzantium, uscito nel 1969, e realizzato da Rubinstein, Weiss, Sylvester e Diggle, al quale sono state aggiunte numerose bonus tracks rimaste fuori all’epoca, e High Time, un live album registrato, verrebbe da dire quasi per caso, in varie location britanniche nel biennio 1974-75, ma mai pubblicato.

Cinque lavori, tutti peraltro arricchiti da numerose bonus tracks che, oltre a rendere finalmente giustizia a questa misconosciuta band, hanno aperto uno squarcio molto interessante su un ambiente che potremmo definire, ante litteram, underground, ovvero quella sorta di sottobosco musicale che si agitava nell’Inghilterra degli anni ’70 e nel quale non si esibivano soltanto i big, ma anche una miriade di band, cosiddette minori, dalla durata assai variabile, che andava dai pochi giorni (Uriel, Khan, Oberon o Trees, quelle dalla durata minore…) a qualche anno, ma che hanno comunque influenzato in vario modo l’evoluzione musicale britannica di quel periodo.

Jamie Rubinstein, che si è occupato di redigere numerosi commenti che si trovano all’interno del ricco ed esaustivo booklet, che accompagna i cinque album contenuti nel cofanetto, ricorda quel periodo non senza una malcelata punta di nostalgia: “We had a great time, it was a real team effort: one for all, all for one.

A fronte di questa pubblicazione molti critici si sono espressi manifestando, a distanza di diversi decenni dallo scioglimento della band, il loro sincero disappunto ma, soprattutto, un palese sconcerto per il fatto che un gruppo di quel livello, e dalle notevoli potenzialità, che probabilmente non furono neppure del tutto espresse, sia stato inesplicabilmente messo da parte da un’industria discografica che, in quel periodo soprattutto, aveva fatto della caccia ai nuovi talenti la punta di diamante della propria attività; in anni in cui le etichette discografiche investivano davvero sui musicisti andandoli letteralmente a cercare, è curioso che i Byzantium siano stati coinvolti ed “espulsi” dal giro che contava nel breve volgere di qualche anno.

Byzantium – Halfway Dreaming-Anthology 1969-75 li ripropone al pubblico dopo oltre quarantacinque anni permettendo ad appassionati e cultori, non soltanto del pop britannico in senso stretto, di risalire alle origini di un ambito musicale sfaccettato e multiforme, che ha cambiato pelle più volte negli anni successivi, ma che affonda saldamente le proprie radici esattamente in quel periodo.

(Cherry Red Records-Grapefruit Records, 2021)

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