Buddy Guy – The Blues Don’t Lie

(Maurizio Celloni)

Cosa spinge un giovanotto di 86 anni a incidere un nuovo disco di blues farcito di rock, funky e soul?

Ebbene, Buddy Guy ha realizzato un album, nel formato di doppio vinile o CD, una sorta di ringraziamento per la lunga vita, piena e gratificante, di uomo nero realizzato attraverso la catarsi del blues, la musica che più rappresenta il riscatto dalla schiavitù, dallo sfruttamento, dalla tristezza per un amore finito, dal dolore per il disconoscimento della dignità, ritrovata solo nelle lotte civili la cui colonna sonora è il blues.

Certamente non una musica rigidamente ripiegata su sé stessa, ma viva e in costante trasformazione, sensibile ai mutamenti sociali verificatisi nel cuore delle multitudini nere di raccoglitori di cotone, trasferitisi nelle grandi città industriali del nord degli States. Guy è uno degli ultimi grandi vecchi, figlio della Louisiana nel profondo sud, di quelle paludose terre del Delta del Mississippi, che hanno dato ispirazione a tanti musicisti, reinventando il blues rurale trasformandolo nell’irruenza elettrica della Chicago in pieno fermento industriale. Quel giovane nero ha realizzato il sogno, ha suonato con tutti i Maestri incontrati nella sua lunga vita e continua a farlo con una invidiabile vitalità. 

The Blues Don’t Lie (RCA – Silvertone Records) è un disco vivace, suonato con grande bravura da una Band collaudata, prodotto da Tom Hambridge, batterista e co-autore. I tredici brani originali ed i tre standard scorrono veloci, rincorrendosi tra Soul, Funky, Blues, senza tuttavia mai distaccarsi dallo stile chitarristico di Buddy Guy, che Clapton definiva “uno dei migliori chitarristi blues della storia”. Che dire del fulminante inizio  I Let My Guitar Do The Talking, con tanto di wah wah roccheggiante e la voce di Buddy Guy ancora potente? E della soul ballad successiva, Blues Don’t Lie, nella quale dimostra di modulare il canto rincorrendo la solista nelle sue evoluzioni tra l’elegiaco e la realtà? D’altronde si trova a suo agio nel ribadire concetti già affrontati nel precedente album del 2018, che affermava fin dal titolo: il blues è vivo e sta bene. E come dargli torto dopo l’ascolto della terza traccia The World Needs Love, un blues classico dall’incedere lento, nato dalle profondità dell’animo di Buddy Guy, suonato con la passione germogliata dal fango fertile del Mississippi. Le dita ancora traggono note struggenti e la voce esce fresca, come il bianco batuffolo della pianta di cotone. La prima “special guest” Mavis Staples duetta con Buddy nella ballata soul blues We Go Back, ritrovando il filo logico che unisce le prime regine del Blues arcaico degli inizi del ‘900 con l’attuale forza del sound di Chicago.

L’ospite successivo, Elvis Costello, dà la misura dell’apertura artistica di Guy, peraltro dimostrata in tutta la sua lunga carriera. Symptoms Of Love è un funky rock di pregevole fattura, dal notevole grado di acidità, le chitarre lanciano stridori che ricordano Bo Diddley e la voce del coro delicato di Costello dà il giusto equilibrio al brano. Con Follow The Money si percorrono le tracce della grande tradizione cantautorale nord americana, non a caso con il coinvolgimento di James Taylor. Nell’occasione, infatti, Buddy Guy imbraccia la Martin acustica per rendere al meglio il sapore dolce delle praterie punteggiate dai borghi, dove le sedie a dondolo schierate al limitare delle sonnolente vie e le chitarre appena pizzicate sono elementi archetipici del panorama. Buddy ritorna alla fidata “Strato” nel successivo Well Enough Alone, volendo così sottolineare che il blues ha molte sfaccettature e ha generato quasi tutta la musica del novecento con la sua forza espressiva. L’incipit è un classico giro blues che lascia spazio ad un potente stacco di chitarre con la sezione ritmica a picchiare duro e citazioni dotte tra cui il “Mojo”, l’amuleto che allontana la mala sorte. Tra le tante derivazioni del Blues, il funky ha una posizione di riguardo e What’s Wrong With That ne è l’espressione più evidente. L’ospite del brano è il formidabile Bobby Rush, cantante e armonicista, che mette voce e strumento al servizio dell’amico Buddy, trovandosi perfettamente a suo agio nelle pieghe ritmate della traccia. Un suono da carillon introduce Gunsmoke Blues che si sviluppa in una ballata dal sapore southern; infatti, Buddy Guy condivide microfono e chitarra con Jason Isbell, figlio bianco di quell’Alabama che tanta musica ha ispirato. House Party è un classico rock blues nel quale si fa apprezzare la voce di Wendy Moten, cantante da anni al fianco di Guy in tournee. L’ascolto prosegue con Sweet Thing, altro blues swingato di pregevole fattura, scritto dalla formidabile coppia BB King – Joe Josea. Backdoor Scratchin’ si avvolge piacevolmente attorno alla sezione ritmica, lasciando spazio alla Fender di Guy che si allarga tra le pulsazioni delle corde del basso. Il brano firmato da John Lennon e Paul McCartney, I’ve Got A Feeling, è arrangiato in chiave funky, misurata come si conviene ad una composizione dei baronetti della compianta Regina, dove si sente lo zampino di Reese Wynans al pianoforte e alle tastiere, già compagno di avventure musicali di Steve Ray Vaughan. Rabbit Blood ci riporta nei fumosi club di Chicago, ad esempio il Legend, il cui proprietario Buddy Guy non disdegna di servire ai tavoli e suonare il blues con gli amici che si esibiscono. Last Call è un up-tempo colmo di feeling travolgente. Degna chiusura dell’ottima pubblicazione, King Bee, composta da James Moore, ci riporta da dove ebbe tutto inizio, quel Delta del Mississippi fucina di grandi musicisti e origine del blues. E qui viene a galla l’animo profondo di Buddy Guy, solo con la sua Martin acustica, con il blues che esce fluido e magnetico, incantatore e catartico.

Insomma, un gran bel disco di uno degli ultimi grandi figli del Delta. Consigliatissimo.

La Band:
Buddy Guy – voce, chitarre elettriche ed acustiche; Tom Hambridge – batteria e percussioni; Reese Wynans: pianoforte e tastiere; Michael Rhodes, Glen Worf – basso elettrico, contrabbasso; Rob MnNelley – chitarra elettrica; Max  Abrams, Steve Patrick – fiati in I Let My Guitar Do The Talking.

https://music.youtube.com/watch?v=vyE0prT0Gxg
Print Friendly, PDF & Email