Billy Cobham – Spectrum

(Andrea Romeo)

Nel 1973 Billy Cobham è già “qualcuno”, nell’ambiente musicale mondiale: ha collaborato con personaggi del calibro di Horace Silver, Stanley Turrentine, Shirley Scott e George Benson, nel 1969 si è unito al gruppo jazz-rock dei Dreams, in cui militavano i fratelli Randy e Michael Brecker ed il chitarrista John Abercrombie dopodichè Miles Davis lo ha convocato, per registrare diversi album, sui quali spesso non viene accreditato per problemi contrattuali, tra i quali Bitches Brew

Soltanto poco tempo dopo, e siamo appena nel 1971, insieme al chitarrista britannico John McLaughlin fonda la Mahavishnu Orchestra con la quale realizzerà tre album epocali, ovvero The Inner Mounting Flame, Birds of Fire e Between Nothingness and Eternity.

In soli quattro, cinque anni, di fatto, Cobham è già diventato uno dei batteristi più importanti, richiesti e riconosciuti, un caposcuola, come da lì in poi verrà considerato, e questo per via del suo drumming potente, energico, che ha stabilito degli standard che, da lì in poi, diverranno pressochè imprescindibili.

C’è un quarto disco, della Mahavishnu, al quale collaborò, ovvero The Lost Trident Sessions, registrato nel 1973 ma che verrà pubblicato solamente nel 1999, in cui il batterista panamense aveva già iniziato ad elaborare diversi pattern percussivi innovativi e decisamente all’avanguardia, ed è proprio a partire da quel lavoro che prenderà forma l’album grazie al quale, la carriera solista di Cobham, prenderà l’avvio, e lo farà, come si suol dire, con il “botto”.

Spectrum, non solo verrà considerato unanimemente il suo miglior lavoro solista, ma sarà uno degli album jazz-rock più innovativi, venduti ed ascoltati di tutti i tempi.

Assolutamente fondamentali, per la sua realizzazione, i musicisti che lo coadiuvarono nella realizzazione delle sei tracce che lo compongono: Jan Hammer, piano elettrico, acustico e sintetizzatori, Leland “Lee” Bruce Sklar, basso elettrico e Ron Carter, contrabbasso, Ray Barretto, congas, Joe Farrell, sax e Jimmy Owens, flicorno, tromba e John Tropea, chitarra in Le Lis.

Ma il musicista sul quale vale maggiormente la pena soffermarsi, soprattutto per le enormi aspettative che, da lì in poi, avrebbe generato, purtroppo frustrate da una fine prematura e tragica, è un giovane chitarrista di Sioux City, poco più che ventenne, che all’anagrafe fa Tommy Bolin; reduce da alcune esperienze in ambito hard-rock, tra cui il gruppo degli Zephyr, da lui fondato a Denver, viene notato da Cobham in un club newyorkese ed il batterista dirà successivamente di lui: “He wasn’t playing many notes, he was playing the right notes!”.

L’abbinamento fra i patterns del batterista e le linee chitarristiche del giovane musicista statunitense risulta a dir poco devastante: Bolin è un talento naturale, non suona mai le stesse cose due volte, ha un’attitudine fenomenale tant’è che, per registrare Spectrum, prova le linee base dei brani soltanto per un paio di giorni, insieme ad Hammer ma, quando entra in studio, le sue doti stilistiche innovative e la sua inventiva si palesano in modo del tutto evidente; a lui si deve, ad esempio, l’uso dell’Echoplex, uno dei primi delay a nastro, che caratterizzerà anche successivamente il suo suono.

Le sei tracce contenute in Spectrum saranno fra i brani che contribuiranno a definire i canoni del jazz-rock, ed anche della fusion, durante tutti gli anni settanta ed oltre, ma c’è un brano con il quale, anche nei decenni successivi, chiunque si avventurerà lungo questi percorsi artistici non potrà non confrontarsi: Stratus, presente tra l’altro nella stazione radio Fusion FM del videogioco Grand Theft Auto IV, campionata nel brano Safe from Harm dei Massive Attack e riproposta dal vivo da Jeff Beck (notevolissima una sua versione, del 2007, con l’allora giovanissima Tal Wilkenfeld al basso e con l’immenso Vinnie Colaiuta alla batteria), è una sorta di “bigino” fusion-jazz-rock che, in poco meno di dieci minuti, dischiude orizzonti infiniti a chiunque desideri approcciare questi generi musicali, mescolandoli insieme.

La carriera di Cobham prosegue, ancora oggi, ed ha prodotto decine di album e di collaborazioni di altissimo livello; il batterista, ormai quasi ottantenne, non ha mai smesso di creare, comporre, e di coinvolgere, nel tempo, musicisti spesso assai più giovani di lui, con i quali si è confrontato senza alcun tipo di supponenza: il rapporto artistico che nacque con Bolin è stato solo l’inizio di un atteggiamento mantenuto poi negli anni successivi.

Quanto al giovane chitarrista, lanciato letteralmente in orbita da quello strepitoso album, lavorò successivamente con The James Gang, su consiglio di Joe Walsh e, tra il 1975 ed il 1976, fu la “meteora” che attraversò l’universo dei Deep Purple: un album in studio, l’innovativo Come Taste the Band, che aprì alla band parecchie interessanti prospettive, poi abortite, uno dal vivo, Last Concert in Japan, a testimonianza di un tour che, in buona parte, convinse anche i fans più ortodossi, “orfani” di Blackmore ma, poco tempo dopo, la fine repentina a causa di un cocktail di  whisky, champagne, cocaina ed eroina; Guitar Player pubblicò, la settimana dopo il decesso, una sua intervista, il cui titolo ne definisce, in modo mirabile e sintetico, la vicenda artistica ed umana: “A talent so bright, a life so short”.

Spectrum, ancora oggi, rappresenta una sintesi musicale davvero unica in cui, un batterista ormai affermato, un giovane chitarrista in ascesa, ed un gruppo di musicisti solidi, affiatati e creativi, riuscirono a condensare un percorso musicale che offrì, a chi venne dopo di loro, abbondante materiale su cui riflettere, e dal quale partire per le proprie future scorribande sonore.

(Atlantic Records, 1973)

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