Billy Bragg – “Talking With The Taxman About Poetry” (The Difficult Third Album)

(Massimo Tinti)

I Conservatori sono in cima a controllare la Gran Bretagna, il razionalismo thatcheriano ha completamente ridotto in fuliggine la classe operaia; un lontano slogan di Seneca viene scritto sul muro del palazzo di Westminster: “Si nasce senza speranza di condono”.
Il popolo inglese in quegli anni ottanta è diviso e discriminato per provenienza, natura, reddito; tenuto assieme solo con la legge e la repressione della polizia. Ogni cosa è separata con rigore, nessuno caduto in povertà è protetto, i tanti disoccupati manifestano inascoltati tra la polvere, il fango e la pioggia.
Le temerarie spedizioni del punk sono finite dentro ai pub a bere birra, un pound ogni pinta; oltre il tramezzo c’è la musica dal vivo, molto spesso quella di Billy Bragg che fa buon uso di se stesso e della chitarra.
Molta della gente li dentro è completamente ubriaca, con i pensieri aizzati uno contro l’altro; tutti soli mentre la poesia di Bragg si espande nella stanza, ricava ogni energia da pochi accordi, il massimo rispetto con le parole che sembrano avere letto tutti i libri socialisti del mondo.
Canta che “le città d Europa sono già bruciate una volta, e potrebbero bruciare ancora”; il suo pugno chiuso prova a svegliare alla lotta i presenti sfiduciati dall’alcol e dalla brutalità del sistema, a trasformare quegli sventurati ognuno per conto suo in “un popolo, un Senato, un esercito”.
Le sue canzoni insultano l’arroganza fascista del potere, spesso censurate dalle radio diffondono i loro messaggi attraverso i concerti; diventano dei dischi solo grazie a qualche etichetta che ha capito tutto dell’arte e dell’industria.
Quando nel 1986 esce il terzo album ” Talking With The Taxman About Poetry” (da una poesia di Vladimir Majakovskij), Bragg è già stato arrestato più volte per le sue intemperanze, ha appoggiato la protesta dei minatori che in un batter d’occhio stavano perdendo 20.000 posti di lavoro; è rimasto in testa alle classifiche indipendenti per mesi grazie al suo combat folk corrosivo e ironico.
Il disco respinge le preghiere di chi si sente sconfitto e raddoppia la guardia sul fronte dello scontro; gli arrangiamenti sono più ricchi e levigati rispetto al passato, ma il tegame arrugginito di folk e punk rimane lo stesso, inviperito nero con il mondo occidentale alla maniera di Woody Guthrie o Phil Ochs.
Chernobyl, l’esplosione dello space shuttle Challenger, gli imbrogli dei sindacati, le leggi ingiuste, la religione, la guerra delle isole Falkland, il muso capitalista dei cugini americani; il destino dei poveri cristi che fanno sciopero ed altri che si oppongono per non perdere il posto di lavoro.
Testi e musica che bucano in due la coscienza, che aprono mille varchi parlando di orgoglio, dignità e lotta, dei diritti civili delle minoranze. Immagini di rabbia che bagnano la strada insieme alle lacrime degli operai, tra le finestre rotte e le auto incendiate dopo la battaglia contro un nemico più forte.
La voce di Bragg, piena di bordi grezzi e accenti zelanti, spesso è raggiunta dalla chitarra di Johnny Marr, dalla vicinanza di Kirsty MacColl, da un pianoforte o una tromba, un violino al momento giusto.
“Levi Stubbs’ Tear” è un pugno nello stomaco più forte di tutti gli altri; storia di una donna tutta sola che cerca sollievo in un nastro dei Four Tops; con il cuore che ormai non pensa più niente dopo l’ennesima violenza domestica, il sangue e i sogni sul pavimento, neanche una sillaba tra le labbra e solo musica nell’aria.
In tutte le altre scene si vede ad occhio nudo la diffidenza di Bragg per i mercanti e la borghesia, gli aristocratici, la polizia con la tenuta antisommossa, contro le parole d’ordine del governo che ricordano che
“non esiste la società, esistono solo gli individui”

“Talking With The Taxman About Poetry” per mesi non si arresta di fronte a nessuno neppure una volta, al punto di arrivare alla posizione numero otto nella classifica ufficiale di vendita inglese;
una bomba molotov che investe tutti gli strati sociali dell’impero britannico, molto più potente di un assalto con una mazza da baseball nella stantia Camera dei Lord.

In quel virtuoso incrocio dove si inventano cose con una chitarra elettrificata per aiutare l’umanità, “Talking With The Taxman About Poetry” vale quanto “London Calling”.
Due dischi fatti da eroi popolari che parlano chiaro allo stesso modo; entrambi a testa alta a ricordare che le cose più belle del mondo hanno bisogno sempre di un suono, di solidarietà, di verità, d’amore, di democrazia.

“Billy Bragg che canta nella nebbia consola i tuoi trent’anni.”
(Sesto San Giovanni The Gang)

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