Bill Evans-Robben Ford – Common Ground

I discepoli di Miles Davis, all’epoca giovani e decisamente scapestrati ma che con gli anni hanno messo la testa a posto, ci hanno preso gusto, e sono tornati; tre anni fa avevano sorpreso tutti pubblicando The Sun Room, affiancati da Keith Carlock, già con gli Steely Dan, e dal bassista James Genus, che ha suonato con Lee Konitz, Michael Brecker, Branford Marsalis e Chick Corea.

Il risultato era stato un mix blues, jazz, soul, funk con molti momenti intensi, quasi esplosivi, insomma un lavoro vissuto così profondamente da non poter restare un episodio one shot, e difatti… Bill Evans e Robben Ford, lasciatisi allora con una frase rivelatrice del sassofonista di Clarendon Hills: “Non potevo essere più felice. L’atmosfera era grandiosa durante le registrazioni ed era una gioia esserne parte. Ottimo lavoro ragazzi. Rifacciamolo!” si sono presi in parola e nei tre anni successivi hanno messo insieme nove nuovi brani che sono andati a comporre la tracklist di Common Ground, secondo episodio della loro collaborazione.

Common ground, ovvero terreno comune, un luogo aperto dove sperimentare, azzardare, provare ad andare oltre, approccio che i due hanno mantenuto, anzi implementato: è rimasto Carlock, batterista energico e dinamico, abilissimo nel destreggiarsi tra il rock/pop di Steely Dan, Toto o Sting ed il jazz/rock di Chris Botti, John Mayer o Tal Wilkenfeld, mentre al posto di Genus è arrivata una vecchia conoscenza quale Darryl Jones, from Chicago Illinois, una vita con gli Stones, ma anche passaggi illustri con Miles Davis, Herbie Hancock, Mike Stern, John Scofield, Steps Ahead, Peter Gabriel, Madonna, Cher, Eric Clapton, Sting (con il quale ha collaborato alla realizzazione del primo disco solista) e Joan Armatrading; una sezione ritmica che presenta due doti imprescindibili per l’idea di album che i due protagonisti avevano in mente, ovvero un’enorme capacità di generare groove, ed una pari attitudine all’improvvisazione.

Ed i brani allora sono usciti quasi da soli: Ever Ready Sunday, che apre le danze, è un jazz rock robusto, in cui le linee di sax, chitarra e basso si intersecano con una semplicità stupefacente, sostenute da un drumming vivace e ricco di patterns differenti, facendolo apparire quasi una session di improvvisazione che si risolve nel brano finito.

Si passa a Crabshaw Don’t Care e cambia totalmente l’atmosfera: ritmica felpata, sax a dettare la melodia e chitarra a lavorare di fino, con accordi appena accennati e parti soliste minimali posti all’interno di una trama che pare quasi “srotolarsi” lentamente e con passo cadenzato, jazzy si, ma con leggerezza.

La totale libertà creativa ha permesso al quartetto di lavorare con una serenità che traspare da ogni singola nota, e senza la minima pressione derivante dal come dover strutturare l’album, per cui ogni brano fa storia a sé, senza alcun vincolo di genere: Sentimental Mood, in tal senso, cambia ancora direzione, una ballad a mezza via tra blues e pop, sorniona ed intrigante e nella composizione della quale il chitarrista di Woodlake, California torna a quanto aveva realizzato, in un lontano passato, con gli L.A. Express di Tom Scott e con i “suoi” Yellowjackets.

Hearts of Havana è invece un’incursione nei ritmi afro, brano arioso, decisamente d’atmosfera, ricco di armonie e di, spesso appena accennati ma fondamentali, dettagli melodici al di sotto dei quali Carlock e Jones costruiscono una linea ritmica incessante, continua ed ipnotica, che regala al brano l’idea del movimento, del viaggio.

L’unico pezzo in cui è presente una parte vocale, quasi un’incursione all’interno di un lavoro completamente strumentale, è quello che dà il titolo all’intero album, e che vede la presenza del vocalist tedesco Max Mutzke, protagonista per il proprio paese all’Eurovision 2004: Common Ground è un brano pop, di grande classe, attentamente lavorato e che, per certi versi, potrebbe essere definito quasi patinato, se non fosse per il fatto che l’arrangiamento cui è stato sottoposto risulta tutt’altro che artificiale anzi, gli conferisce spessore e profondità di suono, grazie anche al piano ed all’organo affidati al co-produttore dell’album Clifford Carter.

TURIN, ITALY – JULY 14: Robben Ford And Bill Evans perform live on stage at Stupinigi Sonic Park on July 14, 2021 in Turin, Italy. (Photo by Diego Puletto/Getty Images )

Passaic e Stanley fanno un po’ storia a sé, per due brani che sono di fatto l’uno il prosieguo dell’altro e nell’ambito dei quali Ford torna al blues, e trascina con sé i suoi compagni di viaggio: groove, ritmiche terzinate, chitarra e sax che si scambiano fraseggi senza soluzione di continuità, in un gioco di rimandi che è pura jam session, il primo, mood intimo e più delicato il secondo, in cui le ritmiche sono spesso spezzate e gli stacchi presenti determinano un andamento molto più irregolare, nervoso, tuttavia sempre molto controllato e carico di pathos.

Il gran finale inizia con Dennis the Menace, attraverso il quale il quartetto inizia ad avventurarsi in quello che sembra un vero e proprio ambiente metropolitano: la sensazione è quella di attraversare i quartieri più malfamati di una metropoli americana, che potrebbe essere la Chicago degli anni ’20 o ’30, e questa sensazione si acuisce ulteriormente grazie al brano che chiude l’album, The Little Boxer, che pare quasi accompagnare l’ascoltatore attraverso una New York notturna, appena illuminata da luci tremolanti, immersa nella nebbia e nelle ombre dei suoi vicoli più nascosti.

Quello di Bill Evans e Robben Ford è, più che un album, un vero e proprio viaggio emotivo in cui ripercorrono passaggi della loro vita musicale, un continuo andirivieni tra passato, presente e, perchè no, futuro: cinquant’anni di carriera, un’esperienza consolidata ma una voglia quasi fanciullesca di rimettersi in gioco e di farlo insieme.

Non è dato sapere, ad oggi, se esistano progetti futuri per due musicisti che hanno attraversato intere epoche, differenti stili, e che da sempre hanno avuto in comune il desiderio di ampliare il più possibile il proprio bagaglio musicale; certo è che, in prospettiva, questo approccio basato sulla ricerca e sull’elaborazione pare avere molto da dire, mostrando una ricchezza di stimoli davvero difficile da ignorare.

(MPS/Edel Music, 2022)

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