Armored Saint – March of the Saint

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(Andrea Romeo)

E’ sufficiente che una giovane e promettente band, composta da musicisti di tutto rispetto, venga messa sotto contratto da una importante etichetta discografica, per avere un riscontro positivo, quando non addirittura ottimo? A volte si, a volte no…

In questo caso ci tocca raccontare di un “a volte no” perché il debutto degli Armored Saint, band power/heavy metal formatasi a Los Angeles nel 1982, aveva tutte le caratteristiche per essere un successo immediato, cosa che invece non si verificò.

Come accade spesso nelle storie di rock, i fratelli Phil e Gonzalo “Gonzo” Sandoval, chitarrista e batterista, invitarono a qualche session un loro compagno di scuola, il chitarrista Dave Prichard e l’alchimia scattò subito: a stretto giro arrivò il cantante John Bush che aveva suonato con i fratelli Sandoval nei Royal Decree; unico inghippo la scelta del bassista, prima Mike Williams, poi Mike Zaputil, ma la quadratura del cerchio avvenne solo pochi mesi dopo, con l’ingresso di Joey Vera.

Una lineup finalmente assestata diede l’assalto al mondo del rock, schivando di poco la prima defezione quando Bush, chiamato da Lars Ulrich come possibile cantante dei neonati Metallica, poiché James Hetfield non si sentiva sicuro nel doppio ruolo di cantante e chitarrista, rifiutò la proposta rimanendo nella band.

Registrano un EP con cinque brani, Lesson Well Learned viene inserita nella compilation Metal Massacre II della Metal Blade, che negli anni è diventata un classico (Metal Massacre XV è del 2021…) e nel 1983 esce il loro EP: dopodichè il (presunto) colpo di fortuna, la firma con una major, la Chrysalis Records.

Giunti a determinati snodi, le possibilità si riducono ad un semplice 50% e 50%… la Chrysalis era si un’etichetta di livello ma, avendo lavorato con gruppi quali Jethro Tull, Ten Years After e Procol Harum ed avendo da poco iniziato a collaborare con band quali Gen X, Ultravox e Spandau Ballet, non aveva davvero alcuna idea di cosa volesse dire produrre, ma soprattutto promuovere, un gruppo heavy.

Due gli errori imperdonabili: affidare la produzione a Michael James Jackson che, pur avendo a disposizione studi di registrazione eccellenti (gli Ocean Way Recording ed i Clover Recording Studios ad Hollywood ed i The Village Recorder di West Los Angeles, California) e malgrado avesse lavorato con i Kiss, non entrò in sintonia con una band che aveva dalla sua gusto nella scrittura, armonie potenti e riff aggressivi, che dal vivo funzionavano, ma che in studio risultarono privi di dinamica, e dimostrarsi incapace di promuovere un lavoro che, proprio per questo deficit di partenza, vendette solo 125.000 copie in un anno nei soli Stati Uniti, nonostante il videoclip di Can U Deliver fosse entrato in rotazione sul neonato canale televisivo MTV.

March of the Saint nato dunque tra mille difficoltà, ebbe però la fortuna di essere accolto molto bene dal pubblico, quando la band lo presentò aprendo i concerti per Quiet Riot e Whitesnake, e negli anni sarebbe assurto a vera e propria icona dell’heavy/power metal anni ’80 grazie all’attitudine americana unita alla lezione della Nwobhm: la rimasterizzazione del 2006 inoltre, ne ha certamente migliorato il sound.

La doppietta con cui la band esordisce, la titletrack March Of The Saint seguita dalla succitata Can U Deliver, non lascia dubbio alcuno: un sound epico, magniloquente, poi un riffing irruento, diretto, con le chitarre taglienti di Pritchard e Sandoval sostenute da una ritmica quadrata che nulla concede al virtuosismo ma che marcia inarrestabile come un treno in corsa; anche gli assoli che punteggiano i brani sono brevi, minimali quanto ad elaborazione ma efficaci e ficcanti nella resa e la voce di Bush si staglia in modo statuario: non c’è spazio per i cori piacioni dell’hair metal, perché qui regna l’headbanging e non si può certamente andarci giù leggeri.

L’immaginario metallaro c’è tutto: dress code in pelle e borchie, capigliature esagerate, una cover guerriera che diverrà nel tempo una sorta di archetipo per il genere, ma soprattutto i brani che spaziano dal power/epic metal più pesante allo speed metal di Mad House in cui i chitarristi si scatenano: musica che offre il meglio dal vivo, spontanea, a tratti semplice ma così vivace da risultare trascinante e coinvolgente.

Take a Turn è l’esempio di brano metal tricky, inizio lento, etereo (chiedere ai Whitesnake dei tardi anni ’80…) che cresce di intensità grazie ai riff che ne creeranno la struttura, prima di lasciare spazio ad assoli melodici, vero trademark del decennio mentre Seducer è british, stile Saxon o primi Judas Priest e funge da apripista per un’altra doppietta che lascia il segno: Munity On The World, vera apoteosi del riffing chitarristico e bassistico (con Vera incisivo e ficcante) e Glory Hunter che spinge ulteriormente rivelandosi una cavalcata imperiosa, brani che si staccarono dall’ondata glam per restare nel solco di una tradizione british assorbita e mai abbandonata; in tal senso Stricken by Fate, introdotta e guidata dal potente drumming di Gonzo Sandoval, e la successiva Envy ribadiscono questa attitudine: rocciose, granitiche, fissano standard che avranno influenza negli anni a venire, mentre la conclusiva False Alarm è la sintesi stilistica dell’intero lavoro.

Le bonus track, March of the Saint, Seducer e Mutiny on the World, in versione demo 24tracks, sono una vera chicca per i cultori del genere, e permettono loro di poter apprezzare sfumature sonore inedite.

Postisi in una posizione defilata, sia negli States che in Europa, dove la Nwobhm andava lentamente scemando, gli Armored Saint si vennero a trovare con il prodotto giusto, nel posto e nel tempo giusti, ma con i partner discografici sbagliati: non divennero star di prima grandezza ma nel lungo periodo, malgrado la perdita di Dave Prichard scomparso prematuramente nel 1990, sono diventati una cult-band che ancora oggi ha il rispetto e l’ammirazione degli appassionati, che ne riconoscono coerenza e credibilità: non male, tutto sommato, per una carriera ormai quarantennale.

(Chrysalis Records/Rock Candy Records, 1984)

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