Ambigram: le vie del “prog” sono infinite

(Raffaella Mezzanzanica)

Come si misura la musica? La domanda è apparentemente semplice, ma la risposta forse non è così univoca come si potrebbe supporre. I più tecnici, i musicisti e coloro che studiano la musica potrebbero soffermarsi sulle battute, sul tempo, sul ritmo e, persino, sulle pause all’interno dei brani. Per altri è solo una questione di “classifiche”, vale a dire che i migliori sono, o meglio devono necessariamente essere, gli artisti che vendono di più o che risultano tra i più ascoltati sulle principali piattaforme digitali.

Tutto vero? Forse. Anche perché, le ipotesi appena elencate non includono un metro di giudizio fondamentale, caro soprattutto, ma non solo, a chi fruisce la musica non “sentendola”, ma “ascoltandola”, con pazienza e dedizione. La musica, per molti, si misura in “momenti”, cioè in associazioni di brani o album a episodi della vita, positivi o negativi, che uniti insieme come dei puntini, definiscono la propria essenza, insieme ai propri ricordi.

La musica “prog” – abbreviazione di “progressive” – è una di quei generi musicali che, più di altri, si può misurare in “momenti”. Perché? Per prima cosa, perché più che un genere musicale è un “sovra-genere”, cioè qualcosa che trascende un unico stile musicale ma ne unisce molti, senza cadere nell’ambito della semplice “contaminazione”. In effetti, il termine stesso “prog” include il concetto di progresso, di evoluzione, di dinamismo.

Durante un concerto nel 2014 a Zurigo, Ian Anderson – frontman e fondatore dei Jethro Tull – raccontava un aneddoto accaduto molti anni prima proprio in Svizzera. Alcuni giornalisti, criticando la sua musica e il “prog” in generale, gli avevano rinfacciato il fatto di essersi spinto “un po’ troppo oltre”.

E avevano ragione! Quella critica, sicuramente poco costruttiva, si concentrava proprio rappresenta  sull’anima del “prog”, da sempre la musica di artisti che non si accontentano, che si spingono oltre le barriere di generi e stili e, dall’altra parte, di ascoltatori attenti, che non lasciano che la musica sia un sottofondo, ma che la ascoltano con estrema attenzione.

La musica “prog”, nel corso degli anni, ha subito evoluzioni continue, ma non ha mai smesso di esistere.

In Italia, ne abbiamo una lunga tradizione: PFM, Banco del Mutuo Soccorso e Area hanno aperto la strada a questo genere nel nostro Paese, ma ancora oggi, ci sono band che hanno fatto di questo “sovra-genere” la propria identità stilistica.

Oggi, vogliamo parlare di una di queste band e del loro progetto musicale.

Gli Ambigram sono un gruppo formatosi grazie all’unione di musicisti di altissimo livello del panorama musicale: Francesco Rapaccioli (lead vocalist), Gigi Cavalli Cocchi (batteria), Beppe Lombardo (chitarre) e Max Marchini (basso).

Francesco Rapaccioli ama descrivere la musica degli Ambigram come “pro-aggressive”, un gioco di parole per indicare la fusione tra il prog rock “classico” di matrice britannica e melodie ispirate dalla scuola anglosassone.

Che cosa significa “Ambigram”? Si tratta di un termine inglese coniato nel 1986 da Douglas Hofstadter che identifica un “disegno calligrafico che possiede due o più interpretazioni chiare e distinte. Le due letture si generano solitamente attraverso il cambiamento del punto di vista che si può ottenere mediante rotazioni e simmetrie o altri espedienti” (Fonte: Wikipedia)

L’essenza del primo, omonimo album della band, sta proprio nella definizione stessa di “ambigramma”: è un disco che si presta a diverse interpretazioni, complesso – come è giusto che sia – e piacevole al tempo stesso.

Gli artisti prog, da sempre, hanno abituato il pubblico a collaborazioni eccellenti. Anche l’album degli Ambigram è il risultato di incursioni “vocali” e “musicali” di altissimo livello: Max Repetti (piano e tastiere), Annie Barbazza e Marco Rancati (Bkg. Vocals), Paolo Tofani (guitar solo nelle tracce 6-7) e Camillo Mozzoni (oboe nelle tracce 2-7). Greg Lake (King Crimson e Emerson, Lake & Palmer) ha partecipato alla produzione della prima traccia dell’album, A Mediterranean Tale.

Una menzione particolare merita certamente la quarta traccia dell’album, Sailing Home, frutto della collaborazione con la bravissima Paola Folli.

La fluidità e il modo in cui si susseguono i brani sembrano voler ricordare anch’essi l’elemento che ha ispirato la maggior parte dei brani contenuti nell’album: il mare.

Quella di “Ambigram” è una definizione affascinante. Concettualmente significa “cambiare il proprio punto di vista”. E’ ciò che serve per poter ascoltare e comprendere la musica “prog”, ritrovando la “semplicità” all’interno della “complessità”.

Tracklist:

1. A Mediterranean Tale
2. Cerberus Reise
3. Pig Tree
4. Sailing Home
5. Imaginary Daughter
6. L’Absinthe
7. Patchwork
8. Pearls Before Swine
9. Cerberus Reise (Radio Edit)

Produced by: Ambigram, except “A Mediterranean Tale” co-produced by Greg Lake.

Annie Barbazza (vocals); Max Repetti (piano, keyboards), Marco Rancati (bkg. vocals)

Personnel:

Francesco Rapaccioli – lead and background vocals
Beppe Lombardo – guitars
Gigi Cavalli Cocchi – drums and percussion
Max Marchini – bass guitar

with

Annie Barbazza (vocals); Max Repetti (piano, keyboards), Marco Rancati (bkg. vocals)

Special Guests:
Paola Folli (vocals on 4)
Camillo Mozzoni (oboe on 2,7)
Paolo Tofani (guitar solo in 6,7)

Recorded by Alberto Callegari @ Elfo Studios
Mixed by Alberto Callegari and Franceswco Rapaccioli @ Elfo Studios
Mastered by Tommy Bianchi @ White Sound Mastering

All songs by Barbazza/Cavalli Cocchi/Lombardo/Marchini
published by Poggeidon Edizioni Musicali

Photography: Franz Soprani

Special thanks to Greg Lake, wherever he is now, for the support and help in developing this project over the years.

Also Thanks to Bunker 54 Recording Studio and Max Cavalli Cocchi

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