Alla [ri]scoperta di Rap e Hip Hop

(Raffaella Mezzanzanica)

4 maggio 1970, una data nefasta per gli Stati Uniti. In quel giorno, gli studenti della Kent State University stanno protestando pacificamente contro la Guerra del Vietnam. L’intervento armato della polizia si concluderà con un bilancio di quattro morti e nove feriti. Chrissie Hynde dei Pretenders, Mark Mothersbaugh, Gerald Casale e Bob Lewis dei Devo, a quel tempo erano tutti studenti alla Kent State e hanno assistito in prima persona a quel tragico evento. Neil Young ne parlerà nella canzone Ohio.

E’ la fine del sogno americano, è la fine del concetto di Peace & Love, del mondo hippie. L’America si affaccia ad nuovo decennio in cui tutto cambia, anche la musica.

Il 1971, l’anno immediatamente successivo, è un anno di grande rinnovamento dal punto di vista musicale. E’ l’anno della pubblicazione di What’s Going On? di Marvin Gaye, di Gimme Some Truth di John Lennon, e di brani come I Won’t Get Fooled Again degli Who.

Gli artisti si pongono delle domande e, come tutti, vogliono delle risposte.

Il 1971 è l’anno del Concerto per il Bangladesh, fortemente voluto e organizzato da George Harrison.

Il 1971 è anche l’anno di The Revolution Will Not Be Televised di Gil Scott-Heron.

Sly & The Family Stone da San Francisco fondono nei loro brani il funk, il soul, la psichedelia e lasceranno un imprinting fondamentale in numerosi altri artisti, fino ai giorni nostri.

Verso la metà degli anni ’70, arriva la disco music e la figura del DJ diventa fondamentale. Questo tipo di musica si diffonde rapidamente e, altrettanto rapidamente, si trasforma da genere “underground” a “mainstream”.

Verso la fine di quel decennio, nelle strade del Bronx nasce e si diffonde un genere musicale, l’hip hop, che si evolverà a tal punto da diventare un vero e proprio fenomeno culturale, influenzando la moda, l’arte, la danza, la televisione, il linguaggio e la società. Il rap diventa la forma di espressione delle nuove generazioni di afroamericani e ispanici, una nuova forma di musica di protesta, frutto dell’evoluzione della storia americana.

L’hip hop si diffonde grazie alla tecnologia. Anzi, la tecnologia gioca un ruolo di primo piano all’interno della diffusione di questo stile. Il campionamento cambia radicalmente il modo di fare musica e porta alla ribalta una nuova generazione di produttori musicali.

L’origine del rap ci riporta al 1979, alla Sugarhill Gang e al brano Rapper’s Delight.

Nasce quella che oggi identifichiamo come la “old school” e che comprende alcuni tra i più importanti artisti rap: Afrikaa Bambataa, Kurtis Flow, Grandmaster Flash, Melle Mel e altri.

Ai “padri fondatori” del rap si aggiungono successivamente RUN DMC, LL Cool J, Public Enemy e, il primo gruppo rap interamente formato da bianchi, ovvero i Beastie Boys.

Dagli anni ’80 in poi la cultura hip hop e la musica rap hanno attraversato gli anni ’90 con figure importanti come The Notorious B.I.G. o Tupac Shakur e l’eterna lotta tra East e West Coast. Oggi, artisti come Jay Z e Kendrick Lamar ne hanno raccolto l’eredità.

Perché parlare oggi di rap e hip hop?

Ci sono diversi motivi per farlo. Per prima cosa, l’hip hop ancora oggi rappresenta un fenomeno culturale e il rap è uno dei generi musicali più amati dalle nuove generazioni.

Inoltre, rap e hip hop sono da sempre oggetto di enormi preconcetti e spesso vengono denigrati e non considerati nemmeno parte del mondo della musica.

Qualche settimana fa qualcuno si è scandalizzato nell’apprendere la notizia che Moby avrebbe pubblicato un album per Deutsche Grammophon, etichetta storicamente dedicata alla pubblicazione di album di musica classica.

Ora succederà la stessa cosa.

Qualche giorno fa, infatti, Smithsonian Folkways Recordings, l’etichetta discografica della Smithsonian Institution, ha annunciato l’imminente pubblicazione – l’uscita è prevista per il prossimo 20 agosto – della Smithsonian Anthology of Hip Hop and Rap, una raccolta multimediale – la prima e unica nel suo genere – che vuole essere un racconto della storia e della cultura nata tra i parchi del Bronx e diventata poi un fenomeno mondiale. Il box set include 129 tracce suddivise in 9 CD e un libro di 300 pagine a cura di Cey Adams, artista e fondatore della Def Jam Recordings. Il libro comprende dei saggi scritti da alcuni tra i più importanti artisti hip hop e critici musicali, in aggiunta a centinaia di foto. Il tutto al fine di documentare un decennio di storia. Attraverso la musica, gli scritti e le immagini, l’antologia mette in evidenza le caratteristiche di un genere poliedrico, ma soprattutto le implicazioni sociali e politiche e la sua influenza sulla cultura popolare.

La domanda è sempre la stessa: “Perché Smithsonian Folkways Recordings, un’etichetta che ha pubblicato raccolte come ‘The Social Power of Music’ o ‘Lead Belly: The Smithsonian Folkways Recordings Collection’ o la recente ‘Pete Seeger: The Smithsonian Folkways Recordings Collection’, dovrebbe pubblicare un’antologia su rap e hip hop?”

Anche la risposta è sempre la stessa: “Perché no?” Anzi, in questo caso, la risposta si trova all’interno della mission stessa dell’etichetta, ovvero: “documentare la ‘musica popolare’, i discorsi e i suoni del mondo”. E la risposta è anche in alcune parole citate nella presentazione del cofanetto, in cui si parla di “storia”, “cultura”, “implicazioni sociali e politiche”, “influenza sulla cultura popolare”.

Ed ecco un assaggio del contenuto dell’antologia:

Sugarhill GangRapper’s Delight

Grandmaster Flash & the Furios FiveThe Message

LL Cool JI Need Love

Queen Latifah (feat. Monie Love)Ladies First

Public EnemyFight The Power

E’ proprio il caso di dirlo: “Le vie del folk sono infinite”.

E non è tutto.

Lo scorso 21 maggio, infatti, alcuni tra gli artisti più importanti della scena hip hop – NAS, LL Cool J, Fat Joe e Grandmaster Flash – si sono ritrovati nel Bronx per la cerimonia di inaugurazione dei lavori che porteranno all’apertura, nel 2024, dello Universal Hip Hop Museum, un museo che nasce nel luogo in cui tutto ha avuto origine, il Bronx e che, finalmente, permetterà di rendere il giusto tributo agli artisti e alla cultura hip hop.

Il museo aprirà grazie ad un’importante collaborazione con Microsoft che ha donato 5 milioni di dollari attraverso il programma AI for Cultural Heritage e allo Stato di New York che ha donato 3,7 milioni di dollari. Il costo complessivo per la creazione del museo sarà pari a 80 milioni di dollari.

Il museo ha comunque già iniziato le proprie attività, con una mostra “pop-up” dal titolo [R]evolution of Hip Hop.1980-1985 al Bronx Terminal Market.

“When I think about hip hop, hip hop has been the voice of the voiceless. It tells the story of marginalized communities, where people can tell stories about the social inequities that are happening in Black and Brown communities, not just here in America but all around the world” (cit. Rocky Bucano, Fondatore UHHM)

Tornando poi a qualche anno fa, nel 2019 il New York City Council, votando all’unanimità, ha deciso di onorare tre grandi artisti e lo ha fatto dedicando loro delle strade all’interno della città.

Accanto a  Woody Guthrie a cui è stata dedicata la Woody Guthrie Way a Coney Island, l’isolato in cui Notorious B.I.G trascorse l’infanzia è stato ridenominato Christopher “Notorious B.I.G.” Wallace Way (Christopher Wallace è il nome di battesimo del rapper) e al Wu Tang Clan è stato dedicato il Wu Tang Clan District a Staten Island.

Da Rapper’s Delight la cultura hip hop si è trasformata ed è arrivata fino ai nostri giorni. Numerosi artisti, appartenenti a generi a volte diametralmente opposti, ne hanno capito il linguaggio e il valore non solo artistico, ma soprattutto sociale. Il 7 agosto 2016 il Wall Street Journal pubblica il seguente articolo: Herbie Hancock: How I Overcame My Language Barrier With Rap. Nell’intervista, Herbie Hancock spiega come sia importante confrontarsi e imparare dalle nuove generazioni. Racconta di quando ha deciso di ascoltare To Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar senza preconcetti, senza lasciarsi bloccare dal linguaggio utilizzato. Si legge nell’intervista: “I asked myself, ‘Whose problem is it?’ It’s not Kendrick’s problem. It’s not the genre’s problem. It’s my problem. (…) I opened up. I appreciated it as a great record. I could understand its meaning. I even turned Chick Corea on to it”.

Tuttavia, Herbie Hancock aveva già esplorato nuovi suoni e si era già lasciato influenzare dal mondo hip hop già nel 1983 con il suo album Future Shock e con il singolo Rockit, con il quale vinse anche un Grammy Award e diversi premi come “Miglior video”.

“We all have a natural human tendency to take the safe route – to do the thing we know will work – rather than taking a chance. But that’s the antithesis of jazz, which is all about being in the present. Jazz is about being in the moment, at every moment. It’s about trusting yourself to respond on the fly. If you can allow yourself to do that, you never stop exploring, you never stop learning, in music or in life” (cit. Herbie Hancock – Possibilities).

Rap e hip hop insegnano che nella musica, nell’arte non bisogna mai avere paura, ma bisogna continuare a esplorare. E’ necessario aprire la mente e ascoltare, magari anche qualche consiglio di Herbie Hancock.

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