Al-Qasar – Who Are We?

(Sandro Priarone)

Guess who is governing whom?

L’onda lisergica scorre, come olio essenziale di zenzero, nell’etnia musicale maggiormente fuorilegge. Ricopre la sintesi di stirpe globale fra spezie d’Oriente e Medio Oriente, ritmi elicoidali dell’Africa Bianca, cavalieri Berberi, world music, spade psicotiche e freak-out ancestrale.

Al-Qasar, nato e creato nel quartiere parigino di Barbès, è Thomas Attar Bellier al saz elettrico, chitarre e tastiere; Jaouad El Garouge alla voce e percussioni, Guillaume Théoden al basso, Nicolas Derolin alla batteria e percussioni e Paul Void alla batteria. Attivi ovunque e in nessun luogo, disarmonia-armonia, elementi caotici concettualmente ordinati. Ora provate a mettere insieme questa teoria in un sound ripetuto ciclicamente, in grazia di una bàraka psichedelica colma d’ambra, dilatando benessere e malessere. Materia e spirito. L’album Who Are We? dispone dell’energia del saz, la chitarra saracena, magnetica e cristallina che cavalca le percussioni cariche di fraseggi forti e multitimbrici. Rock distorto su accordi basici con strumenti e voci del Levante, la batteria che incrocia daf, darbuka, riq, bendir, gli amplificatori Fender degli anni sessanta che inglobano le trame acustiche. Troviamo il formidabile suonatore di oud (una specie di liuto col manico corto che ha la sua origine nell’antica Mesopotamia) Mehdi Haddab, artista franco-algerino fondatore degli Speed Caravan, portatore di echi elettrificati cosparsi di legature e assoli, occasionalmente live con Al-Qasar.

“Sono nato a Parigi e sono stato per la prima volta negli Stati Uniti come studente alla UC Berkeley all’età di 19 anni”, dice Attar Bellier. “È stato un risveglio culturale. Ho scoperto i Brian Jonestown Massacre, i gruppi metal di Oakland, le bande di motociclisti. Non volevo mai andarmene! Mi sono poi trasferito a New York e in seguito a Los Angeles. Gli USA sono completamente fottuti, ma c’è una vera diversità culturale lì ed è più visibile che in Francia”. Gli ultimi anni trascorsi in California fanno di Bellier un chitarrista di formazioni psych come Spindrift e Blaak Heat. Torna a Parigi nell’amato quartiere multietnico di Barbès: “Per me è il cuore della città, più tipico rispetto alla Torre Eiffel o al Louvre. Le persone vere vivono lì, la vera cultura accade lì”. Forma la band e pubblica nel 2020 il primo EP, Miraj, otto canzoni registrate tra Il Cairo, Los Angeles, Parigi, Nashville. Arabian Fuzz e mondo globale. Nel 2022 con l’album Who Are We? raduna amici, punk e musicisti internazionali. Jello Biafra e Lee Ranaldo svettano in tre brani eroici, come El Cid Campeador alla difesa della taifa di Saragozza insieme ad al-Muqtadir. Awtar Al Sharq e Awal svuotano treatments chitarristici che Ranaldo incunea nel vento arido e sabbioso, come se stesse chiamando a se il krautrock di Malesh (Agitation Free) domandando ancora, cinquant’anni dopo, tra cluster di droni, “You play for us today?”. Ya Malak tuona furiosa e precede il canto politico, declamato da Jello in tono perentorio, Who Are They and Who Are We?, che cita testualmente una poesia colloquiale di Ahmed Fouad Negm, poeta egiziano rivoluzionario. “Chi sono loro e chi siamo noi? Sono gli Emiri e i Sultani, sono quelli con ricchezza e potere. E noi siamo gli impoveriti e i deprivati, usa la tua mente, indovina.. Indovinate chi governa chi? Chi sono loro e chi siamo noi?”.

Attraverso una referente scansione retorica la cantante Alsarah evidenzia il sofferente disagio nell’ammaliante Hobek Tharwat. La vocalist, cantautrice ed etnomusicologa proveniente da Khartoum, riproduce il coro scandito nelle ultime manifestazioni in Sudan tramite questa smagliante performance:”Nessun negoziato, nessuna partnership, nessun compromesso”.

Mal Wa Jamal magnetizza, nel garage rock arabo, la splendida interpretazione di Hend El Rawy, singer di origine ismailita che trae influenza dal deserto e dai beduini per sviscerare la musica folk egiziana. Sham System usa il saz elettrico come la Fender di Dick Dale, creando l’embrione del Sinai surf, Benzine aggancia il suo riff acido-circolare alla vena crepuscolare della voce di Jaouad El Garouge. Però è Barbès Barbès l’involucro principale, che tra tamburi invasati ed incedere world-sound ripercorre le vie più incandescenti dei Goat. Il finale del brano esplode, contaminato da molecole rock’n’roll, nell’assolo dell’oud elettrico di Haddab e pare di essere, con Brian Jones e Suki Potier, a Jajouka o alle corti moresche di Cordova e Siviglia.

Un’impresa coraggiosa. Ispirata dal disco Hard Rock From The Middle East dei The Devil’s Anvil, gruppo creato dai futuri Mountain, Steve Knight e Felix Pappalardi, nel 1967, insieme a Bobby Gregg, batterista con Dylan e Simon & Garfunkel, più altri musicisti arabo-americani. Who Are We? incarna la cadenza, la musicalità, il polso, l’ispirazione, la poesia. Nella lingua araba ogni singola piccola cosa può essere trasformata in una metafora. Una frase in arabo può trasformarsi in cento pagine e cento pagine essere rappresentate nel significato di una sola frase. Ma battiti e groove sono centrali nel processo di scrittura e arrangiamento dell’album. L’incedere ipnotico fa chiudere gli occhi e smuovere, somigliando a danze e suoni di gnawa e zar dove i ritmi sono usati come mezzo per provocare la trance. Se per il regno della Legge c’è lettera e spirito, qui c’è un flusso di coscienza che nota dopo nota si cristallizza in canzone.

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