Al Di Meola, John McLaughlin, Paco de Lucía – Saturday Night in San Francisco

(Andrea Romeo)

…Friday Night was an anomaly: a rare acoustic jazz album that captured the ears of jazz fanatics, rock guitar aficionados, and classical music lovers alike. It reached #97 on the Billboard 200, and #6 on their Top Jazz Albums charts… Why, then, with its brisk sales and acknowledgment as a classic, wasn’t the Friday Night LP followed up with the Trio’s final performance from the next evening? With the abundance of exquisite material, why didn’t Columbia make the original issue a two-record set? For more than forty years, the original master tapes for both the Friday December 5 and Saturday December 6, 1980 concerts laid dormant, despite several attempts to arrange their release… The thing about Saturday Night in San Francisco is that it was the last show, explains Al Di Meola. We’d played almost every night for two months. In those days, Paco was the world’s greatest flamenco player, and John was revered for his amazing technique. I was the kid who was thrown into deep water to play with these monsters, so I had to work hard…

Sono proprio le parole di Al Di Meola, il ”ragazzino” che si trovò a suonare con due mostri sacri come Paco De Lucia e John McLaughlin, tenendo peraltro botta, ed a livelli incredibili, a descrivere il significato di questa inattesa quanto notevole uscita discografica che, di fatto, va a chiudere un cerchio lasciato aperto per ben quarantadue anni, riportando alla luce le tracce dello show finale con cui il Trio si presentò al pubblico del Warfield Auditorium di San Francisco, il 6 Dicembre del 1980, la notte successiva allo show che era già stato immortalato in Friday Night in San Francisco.

Dopo l’introduzione affidata a Bill Graham, impresario e promoter musicale che fu tra i protagonisti della scena californiana dell’epoca, grazie anche alla creazione di locali quali il Fillmore ed il Winterland, i tre protagonisti e le loro sei corde acustiche presentano una scaletta completamente differente, rispetto a quella della serata precedente, composta da sette brani che vanno a completare, esaustivamente, un puzzle sonoro che, ancorchè famoso e celebrato, era tuttavia rimasto incompleto proprio per il fatto di avere ancora a disposizione questo materiale, del tutto inedito.

Prodotto dallo stesso Di Meola, con il missaggio affidato a Roy Hendrickson e Katsu Naito e la masterizzazione seguita da Bernie Grundman, Saturday Night in San Francisco si apre con una scintillante Splendido Sundance, scritta dal chitarrista di Jersey City ed eseguita da un Trio che, in forma smagliante, inizia da subito a sciorinare i propri passaggi acrobatici: a questo punto però, diversamente dalla serata precedente in cui i tre chitarristi avevano suonato tre brani in coppia, ruotando fra di loro, si apre una sezione in cui vengono proposti tre pezzi eseguiti dai loro autori, ma in solitaria: inizia John McLaughlin, che presenta una intensa, energica coinvolgente, ed a tratti persino romantica One World, in cui alterna una ritmica piena e potente a brevi passaggi solisti eseguiti a velocità assurda, ma con una precisione ed una pulizia chirurgiche, prosegue Al Di Meola, che propone invece Trilogy Suite, a cavallo tra jazz e flamenco, eseguita in punta di dita e ricca di espressività e di vigore mediterraneo, a dimostrazione del fatto che il chitarrista americano aveva già assorbito le vibrazioni trasmesse dal suo illustre collega andaluso il quale, a chiusura di questo segmento dello show, esegue un caldo ed appassionato Monasterio de Sal, brano poi pubblicato all’interno dell’album solista Sólo Quiero Caminar, uscito nel 1981.

Tornano sul palco i tre protagonisti della serata e lo spettacolo si avvia alla conclusione: si parte con El Pañuelo, scritta ed arrangiata dal chitarrista di Algeciras, un torrido flamenco che l’artista andaluso pubblicherà sette anni dopo nell’album Siroco, in cui il trio si lascia andare a calde suggestioni mediterranee; curioso, ma evidente, trovarsi di fronte a brani che, se da un lato presentano notevoli difficoltà esecutive, necessitano di un interplay e di un sincronismo assoluti e di doti interpretative non comuni, dall’altro sono assolutamente fruibili anche da chi non abbia particolari competenze tecnico-musicali nè sia uno strumentista o un addetto ai lavori: molti passaggi si fissano nella memoria, si possono canticchiare o fischiettare, ma soprattutto trasmettono una passione ed un’intensità subito percepibili da chiunque si ponga all’ascolto.

Ne è ulteriore conferma la successiva Meeting of the Spirits, vera e propria maratona strumentale che John McLaughlin aveva scritto, nel 1971, per la sua Mahavishnu Orchestra, ed apparsa nell’album The Inner Mounting Flame, qui riarrangiata mirabilmente per tre chitarre, e che raggiunge vette davvero elevate di espressività.

La chiusura dello show è affidata ad un brano di Luiz Bonfà, chitarrista e compositore brasiliano che, alla fine degli anni ’50, aveva scritto la colonna sonora di Orfeo Negro, film tratto dalla pièce teatrale di Vinícius De Moraes e diretto da Marcel Camus, che vide fra i protagonisti musicali, oltre a Bonfà e De Moraes, anche Antônio Carlos Jobim; Orpheo Negro, andamento lento, malinconico, struggente, accompagna verso la notte il pubblico del Warfield: dopo una serata di fuochi artificiali il Trio si accommiata con delicatezza e toni morbidi che lasciano negli spettatori, ed ora anche tra chi avrà modo di ascoltare questo concerto, la consapevolezza di aver assistito ad una serata memorabile, ed il rammarico che, la serata stessa, si sia già conclusa.

L’impatto di Friday Night in San Francisco sulla percezione della chitarra acustica nella cultura di massa è stato enorme; dopo un decennio dominato da chitarre elettriche e distorsori questo terzetto ha ridefinito il concetto tecnico, lessicale ed estetico della chitarra acustica, avviandola verso nuovi e più ampi linguaggi.

Saturday Night in San Francisco completa questo percorso e ridefinisce ulteriormente l’idea di interplay: tre giganti si confrontano, si sfidano, traggono ispirazione l’uno dall’altro, si “rubano” vicendevolmente l’ispirazione ma alla fine, come tre ciclisti in perfetta armonia, dopo una serie di fughe, inseguimenti, distacchi e recuperi, giungono sul traguardo insieme, a mani alzate e congiunte, sulla stessa riga; inutile dire che, questo documento musicale, vale l’ascolto dalla prima all’ultima nota.

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